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Reggio Calabria: la statale 106 in mano alla camorra

La società ‘Cogip’ di Catania nel mirino della mafia: i Carabinieri hanno arrestato 5 persone e sequestrato beni per 20 milioni di euro. I lavoratori della statale 106 erano “colpevoli” di non essersi rivolti prima al clan, ed erano stati costretti a pagare il 4% dei guadagni.
A cura di Carmine Della Pia
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Camorra sulla statale 106

La ‘ndrangheta si infiltra negli appalti pubblici: camorristi pretendevano il 4% del guadagno da parte della ditta che eseguiva i lavori sulla statale 106. I Carabinieri di Reggio Calabria hanno emesso ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 5 persone. L'inchiesta ‘Affari di famiglia', portata a termine ieri pomeriggio, ha portato anche al sequestro di beni per un totale di 20 milioni di euro. Gli inquirenti si sono avvalsi delle numerose intercettazioni ambientali raccolte, grazie alle quali è stato possibile ascoltare le intimidazioni ai dipendenti della ditta al lavoro sulla statale 106. L'inchiesta ha riacceso i riflettori sui clan Ficara-Latella e Iamonte, note famiglie del reggino.

Appalti e subappalti nelle mani dei mafiosi – I Carabinieri di Reggio Calabria spiegano che i lavori di riammodernamento della statale 106, e,in particolare, quelli relativi alla messa in sicurezza del tratto Reggio Calabria – Melito Porto Salvo, erano finiti nel mirino dei clan della zona. La Cogip di Catania aveva deciso di denunciare il tutto in seguito alle numerose intimidazioni. "Come mai avete iniziato questi lavori senza le dovute presentazioni? Adesso dovete pagarci anche il disturbo!", dicevano i picciotti ai lavoratori, oppure, "Dite al vostro responsabile che prima di continuare i lavori si deve mettere a posto". Dalle presentazioni si era passati, poi, alle richieste più esplicite: "Noi siamo i referenti della zona. Per il vostro quieto vivere dovete darci il 4% dell'intero importo dei lavori relativo alla posa delle barriere e del rifacimento del manto stradale. Un'impresa come la vostra non è che mo' si perde per 60.000 euro". In sintesi, la ditta è rea di non essersi rivolta al clan, prima di iniziare i lavori. L'operazione porta 60mila euro nelle tasche delle famiglie mafiose che gestiscono, tra l'altro, anche i subappalti. Di questo denaro, almeno un terzo è stato già sequestrato dalle forze dell'ordine.

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