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Referendum trivelle, cosa resta oltre lo spettacolo da circo della politica

Tra gli sfottò twittati dai deputati dem e gli insulti che volano tra le parti, nelle ore successive alla chiusura delle urne referendarie, il dibattito politico di questo Paese ancora una volta non è stato in grado di discostarsi da un livello che definire “circense” sarebbe un complimento. Non una seria analisi del risultato del referendum sulle trivelle, l’obiettivo del giorno dopo è l’affermazione dell’egocentrismo politico.
A cura di Charlotte Matteini
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Ieri hanno vinto tutti, al solito. Non importa se il quorum non solo non è stato raggiunto ma nemmeno sfiorato per sbaglio, non importa se il responso delle urne è stata una vera e propria Caporetto, a leggere i commenti su Facebook e sui giornali sembra che quel risicato 30% di partecipanti al voto sia stato una vera e propria vittoria, una vittoria politica contro Renzi addirittura.

Di contro, nel mare magnum delle analisi del giorno dopo, i comitati pro-astensione, non contenti di aver stracciato gli avversari, non solo esultano per il risultato, ma arrivano a bullizzare i promotori e gli elettori che si sono spesi per la campagna referendaria "contro le trivelle". Quel che è certo è che le le polemiche e le frecciate che si stanno rincorrendo in queste ultime ore sono semplicemente figlie della perenne diatriba politica che vede al centro dello scontro il giudizio sulla leadership renziana, non l'analisi dell'andamento di una competizione referendaria.

Dei contenuti, del quesito, delle conseguenze del provvedimento inserito nello Sblocca Italia e del risultato referendario sembra che a nessuno interessi discuterne. Il tema era troppo complesso? Gli italiani non sono andati a votare perché di ambiente non si interessano? Davvero un'astensione al 70% è da interpretare come una vittoria politica? Contenuti e conseguenze, andrebbe sottolineato, dei quali si è parlato poco e male anche durante i 62 giorni di campagna referendaria appena conclusa. Tra gli sfottò twittati dai deputati dem e gli insulti che volano tra le parti, sembra davvero che la qualità del dibattito politico di questo Paese non sia in grado di discostarsi da un livello che definire "circense" sarebbe un complimento.

Un problema, però, che non si è verificato solamente questa volta, con il referendum contro le trivellazioni. Soprattutto negli ultimi anni, lo scontro da politico è andato via via spostandosi sempre più verso il piano personale. I contenuti sono passati in secondo piano, l'obiettivo da perseguire è l'affermazione muscolare del predominio politico del più forte sul più debole. Alla maggioranza non interessa aver vinto, no. La maggioranza governativa non si accontenta, vuole imporre la propria supremazia sulla minoranza, vuole dimostrare di essere in grado di governare in solitaria, di non aver affatto bisogno di avviare un confronto democratico tra le parti, di giudicare ininfluente – se non addirittura dannosa – l'esistenza di un'opposizione. Lo storytelling renziano non ammette l'eventualità che qualcuno possa permettersi di replicare e controbattere ad una narrazione politica confezionata ad arte, non ammette domande scomode, quasi impossibile parlare di politica dati alla mano, evitando le trappole di un racconto infarcito di giochi di parole, slide e hashtag simpatici ma sostanzialmente privi di contenuti concreti e di fatti.

Ogni occasione elettorale viene trasformata in una chance da sfruttare per confermare la leadership di Matteo Renzi. Ciò che viene narrato all'elettore non attiene minimamente al contenuto politico della questione. Non esistono più elezioni amministrative, la trama è "Renzi contro tutti". Il referendum? Il quesito diviene insignificante, il voto valuta l'attitudine politica del presidente del Consiglio e della sua squadra governativa. E' il desiderio di affermazione della propria vanità che prende il sopravvento. E' una politica governativa alla "Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più potente del reame?", al servizio di un ego narciso, non più della Ragion di Stato.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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