Il caso Raffaella Esposito è un episodio di cronaca nera che ha ossessionato per anni la Campania degli anni Ottanta, una di quelle storie dai contorni talmente stinti che diventano quasi leggenda locale. I fatti risalgono al 1981, in un'Italia ormai lontana dal terrorismo rosso e nero, un'Italia dove la politica ha deposto la Beretta e preso in mano il santino elettorale, mentre alla tv il mostro di Firenze ipnotizzano l'opinione pubblica.
L'infanticidio nella terra di Raffaele Cutolo
Mentre il Paese se la vede con il primo killer ‘mediatico', in Campania la ‘Nuova camorra organizzata' di Raffaele Cutolo, ‘o professore' di Ottaviano, si aggiudica il monopolio delle attività illecite di tutta la zona vesuviana, tra cui racket, traffico di droga, smaltimento illecito di rifiuti, usura e contrabbando. Per questo, quando un giorno una bimba esce per andare a scuola e non fa più ritorno, il suo caso finisce all'attenzione de ‘O professore'. Cutolo e i suoi avviano la loro contro-indagine su di Raffaellina Esposito, 10 anni, sparita intorno alle 12 e 15 all'uscita dalla scuola elementare. Gli investigatori, intanto, fanno degli accertamenti sulla famiglia Esposito, una coppia – ambulante lui, fruttivendola lei – di modestissima condizione, arrivando alla conclusione che quello non è un rapimento a scopo di estorsione.
Il messaggio
Qualcuno nel consesso della NCO, nel frattempo, invia alla stampa questo messaggio:
Noi uomini di Cutolo non ammettiamo che si tocchino i bambini. Liberate la piccola, sennò pagherete.
I giorni passano, ma nessuno si fa vivo per chiedere il riscatto o per rivendicare il rapimento, nonostante papa Woytila avesse lanciato un appello ai rapitori. Così gli Esposito decidono di mettere a disposizione una ricompensa di 10 milioni di lire per chiunque abbia notizie della piccola. Gli inquirenti si misero in ascolto, i camorristi pure.
La cisterna di Ottaviano
Due mesi dopo, a San Gennariello di Ottaviano, località Cinque vie, la signora Anna cala il secchio nella cisterna vicina al suo appezzamento per tirare su dell'acqua. Man mano che preleva liquido dal fondo del pozzo si vede affiorare qualcosa: il tenero corpicino di una bimba, con il grembiule bianco sopra il vestitino a quadri e il cappotto celeste ancora indosso. A zio Carmine Gavino spetta il crudele compito di riconoscere la piccola Raffaella, mentre a Somma lo sconcerto e l'orrore gelano le strade come un vento cattivo. Dai fogli dell'autopsia arriva la risposta alla domanda più tormentosa, quella che tutti a Somma si stanno ponendo. No, Raffaellina non è stata violentata. La piccola, come suggerito dalla cinta del cappotto legata intorno alla gola, era morta strangolata.
Se la giustizia è in mano ai boss
Dalle prima indagini del giudice Lucio Di Pietro, a capo dell'inchiesta, spicca una testimonianza chiave. Una insegnante della scuola elementare di Raffaella ha visto la bimba salire a bordo di una Fiat 127 di colore rosso, quel giorno. Giovanni Castiello, un operaio 37 anni, dipendente della ditta dello zio della piccola e proprietario di una 127 scarlatta finisce in cima alla lista dei sospetti. Contro di lui, però, indizi: Castiello, infatti, non ha precedenti e per il giorno del delitto ha un alibi e infatti viene rilasciato senza neanche andare a giudizio. Un mese dopo il ritrovamento del corpo, mentre cammina per strada a Santa Anastasia, Castiello viene crivellato da una calibro 38. Giustizia è fatta, dice il ‘comunicato' della NCO. La camorra ha pronunciato la sua sentenza.
L'epilogo
Per qualcuno l'esecuzione di Castiello doveva essere una risposta, invece apre solo nuove domande. Era il vero colpevole o un capro espiatorio eliminato per ripristinare l'equilibrio? La camorra è intervenuta perché aveva delle responsabilità? E se Raffaella fosse stata involontaria testimone di un crimine finendo nel mirino dei boss? Mentre il fascicolo di Raffaellina finisce in archivio, due anni dopo a Ponticelli, a 15 minuti da Somma, altre due bambine vengono rapite, seviziate e i loro corpi dati alle fiamme. Questa volta in una Cinquecento blu.