Inizio settembre: un padre scrive una lettera giustificando orgoglioso il proprio pargolo che, su consiglio dell'amabile genitore, non aveva fatto i compiti assegnati per l'estate dalle maestre perché aveva impiegato il proprio tempo libero per "vivere", giocando e facendo gite con la famiglia. Pubblica la fotografia della lettera su Facebook, i giornali riprendono il post e scoppia una polemica che va avanti per giorni e giorni. "Il web si spacca", c'è chi dà ragione al padre in questione e chi invece non esita a rimarcare quanto diseducativo sia questo tipo di approccio. Passano i giorni, la polemica si sgonfia e chi s'è visto s'è visto. Inizio ottobre: una mamma milanese scrive una giustificazione sul diario della propria bambina e spiega alla maestra che la pargola non ha fatto i compiti assegnati per il giorno (leggere gli appunti sul quaderno e una pagina di storia sul sussidiario, per amor di cronaca) perché dopo 8 ore di passate sui banchi di scuola era giusto che la bimba giocasse e si impegnasse in attività ricreative. Stesso scenario di settembre: il post viene ripreso dai media e scoppia la polemica.
Insomma, ciclicamente un genitore una mattina si sveglia, giustifica il figlio che non ha fatto i compiti perché doveva giocare e pubblica il tutto su Facebook, probabilmente cercando l'approvazione di altri genitori nelle sue stesse condizioni. Indiscutibilmente la tematica relativa al carico lavorativo che i bambini devono fronteggiare durante le vacanze scolastiche o durante il pomeriggio dopo aver passato ore sui banchi è interessante e indubbiamente può essere utile affrontare quello che, a quanto pare, viene vissuto dai genitori come un problema. C'è però un "ma": il metodo utilizzato per instaurare il dibattito. Sembra infatti, mia opinione personale, che queste iniziative genitoriali siano messe in piazza per alimentare il proprio ego virtuale e arrivare a godere del cosiddetto "quarto d'ora di celebrità", senza pensare alle conseguenze che questa scelta può provocare.
Scrivere una giustificazione sul diario del proprio figlio e renderla pubblica su Facebook non contribuisce solo a instaurare una discussione sul tema, ma prima di tutto provoca un effetto deleterio: la delegittimazione dell'insegnante agli occhi del bambino. Il bambino che si trova a vedere la mamma che prende le sue difese e dice alla propria maestra che è giusto pensare prima al divertimento e poi, se resta tempo, ma nemmeno in tutti i casi, al proprio dovere di alunno quale insegnamento potrà mai trarre dalla vicenda? Se la scelta non viene accompagnata da un giusto percorso educativo e pedagogico, il bambino crescerà con l'idea che la figura dell'insegnante non meriti rispetto e nessuna autorità.
Non sono certo Matusalemme, né sono mai stata un'alunna modello, ma per quanto ricordi dei miei anni scolastici, i compiti a casa sono sempre esistiti – anche per chi sceglieva il tempo pieno, come la sottoscritta – e non ricordo assolutamente queste barricate contro le maestre. Certo, all'epoca non esistevano i social network, ma quando qualche genitore aveva problemi con la maestra o l'insegnante di turno, semplicemente andava a parlarle di persona, cercando di spiegarle le motivazioni che stavano dietro la richiesta avanzata. Non ricordo, davvero, nessuno che si permettesse di fare la guerra alle insegnanti a colpi di giustifiche e note sul diario, francamente.
Qualcosa è cambiato nell'approccio dei genitori nei confronti della scuola, che sembra ormai essere considerata un mero parcheggio per i bambini e non un luogo in cui i propri figli imparano, studiano, apprendono regole di convivenza civile, vengono educati – perché sì, anche se le maestre non sono le mamme dei bambini che hanno in custodia, il loro ruolo non è solo quello di trasmettere nozioni, ma anche di insegnare ai bambini e ai ragazzini a rapportarsi con il mondo che li circonda. Insomma, tutto questo fiorire di giustificazioni sbattute sui social network e riprese dai media non giovano certo alla causa dei detrattori dei compiti a casa e fautori di modelli pedagogici differenti, ma semplicemente servono a delegittimare l'autorità dell'insegnante agli occhi dei propri figli, provocando futuri disastri.
E poi, siamo onesti: ma davvero possiamo considerare la fotografia di una giustificazione pubblicata da una mamma sul proprio profilo Facebook una notizia? Io credo di no e credo, soprattutto, che il fiorire di questi post acchiappalike sia dovuto proprio alla certezza, da parte dell'autore, che qualche giornalista interessato a riprendere l'ennesima sfuriata che divide il web prima o poi arriva, con il conseguente codazzo di commentatori che per giorni si impegneranno a discutere della vicenda, le interviste e l'effimera popolarità regalata all'autore di quella che, in fin dei conti, è una non notizia.