L’Unione Europea è necessaria, ma questa Unione Europea non è più sufficiente: questo è il messaggio che arriva forte e chiaro dal Consiglio Europeo del 23 di aprile, e più in generale da queste settimane di trattative per trovare una risposta efficace all’emergenza Coronavirus.
L’Unione Europea è necessaria perché senza saremmo morti, e questo dobbiamo dircelo molto onestamente. Se la Banca Centrale Europea non avesse deciso di comprare senza soluzione di continuità i nostri titoli di Stato, noi a quest’ora avremmo già lo spread a 500. Se non ci fosse il Meccanismo Europeo di Stabilità a fare da scudo alla speculazione internazionale, saremmo già da un bel pezzo sotto attacco della più perfetta delle tempeste. Se non ci fossero il recovery fund, i soldi della Bei e le risorse del bilancio dell’Unione non sapremmo dove prendere i soldi per evitare il collasso definitivo della nostra economia. Si mettano il cuore in pace, i sovranisti: l’Unione Europa, a oggi, è il respiratore che ci tiene in vita, non il virus che ci uccide. E no, là fuori non c’è la libertà, ma la sottana di un altro sovrano, si chiami Cina o Stati Uniti d’America, o Russia.
L’Unione Europa è necessaria, dicevamo, ma questa Unione Europea non è più sufficiente. Perché il meccanismo decisionale che mette attorno a un tavolo 27 capi di Stato e di governo, o 19 se si tratta di Eurozona è il meno efficiente che esista. Perché ogni provvedimento e ogni misura nascono depotenziate e in ritardo, vittime di estenuanti mediazioni. Perché la rigidità di trattati che non prevedono crisi sistemiche e che sono stati fatti per non essere mai cambiati impone ogni volta di derogare ad essi, come nel caso della nascita del Meccanismo Europeo di Stabilità, un’entità di diritto privato che nessun trattato comunitario aveva previsto. Perché quando arriva uno tsunami come quello che stiamo vivendo, siamo l’unica superpotenza economica al mondo – l’Unione Europea lo è, non dimentichiamocelo mai – che decide di correre su una gamba sola. Perché ogni misura presa, figlia di un accordo intergovernativo, è e sarà sempre fisiologicamente vittima dei cicli elettorali nazionali. Banalizzando, ma fine a un certo punto, sarebbe come se Trump nel prendere una decisione, dovesse preoccuparsi delle elezioni del Wisconsin o della Carolina del Nord.
La buona notizia – se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno – è che non c’è momento migliore di questo per assumere questa consapevolezza, e a quanto pare sempre più leader europei sembrano averlo capito. L’hanno capito Emmanuel Macron e Pedro Sanchez, i veri ideatori dei Recovery Bond, e a ben vedere i veri vincitori di questa partita. E l’ha capito anche Angela Merkel, che nel suo discorso al Bundestag alla vigilia del Consiglio Europeo ha aperto alla possibilità che sia la Commissione Europea – e non i capi di Stato e di governo – a decidere dove e come spendere i soldi per la ricostruzione economica dell’Europa. Soprattutto, ha detto che “Se stiamo andando verso la mobilitazione di una quantità di denaro senza precedenti per costruire la necessaria capacità di bilancio, dobbiamo avere coerenza nei sistemi di tassazione delle società e ci serve un sentiero di convergenza: non una quantità enorme di idee diverse su come usare i nostri sistemi fiscali”.
Ecco, questa suona davvero come la rivoluzione necessaria: se davvero questa crisi sarà il viatico di un budget europeo sempre più importante, se davvero questo budget sarà a disposizione della Commissione Europea e se tutto questo porterà a una necessaria ridiscussione dei budget fiscali, ecco allora che davvero dalla crisi del Coronavirus può nascere una nuova Unione Europea con un suo governo eletto e un suo sistema fiscale unitario. Un’Europa senza cicale e formiche, senza inferni e paradisi fiscali. Un’Europa a misura della nuova era che sta iniziando qui e ora. Un’Europa, finalmente, necessaria e sufficiente. Genesi o apocalisse? A noi la scelta.