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Guerra in Ucraina

Questa è già la prima guerra energetica mondiale, e la stiamo perdendo

Mentre cerchiamo di capire come rispondere a Putin, la deforestazione dell’Amazzonia procede a ritmi da record e nessuno pensa più a come uscire da un mondo fondato su gas e petrolio. Intanto, il punto di non ritorno del riscaldamento globale si avvicina sempre di più.
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È notizia di oggi che secondo gli scienziati dell’Ufficio Metereologico del Regno Unito ci sono 50 possibilità su 100 che già nei prossimi cinque anni il mondo superi la soglia del grado e mezzo di aumento delle temperature, la famosa soglia che i maggiori esperti hanno indicato come il punto di non ritorno del riscaldamento globale. E che comunque è già abbastanza certo che tra il 2022 e il 2026 si batteranno record su record di calore ed eventi climatici estremi.

E già che ci siamo, è notizia di qualche giorno fa che il Brasile, quest’anno, ha battuto tutti i record di deforestazione, arrivando a incenerire una superficie pari a 14mila campi da calcio nel solo mese di aprile. O se preferite, di un’area grande come New York nei primi quattro mesi del 2022.

Se questo è l'andazzo, la guerra in Ucraina complica ulteriormente le cose. Perché con milioni di tonnellate di grano ferme a Odessa, aumenta l’urgenza di nuovi campi da coltivare altrove, e ancora una volta il Brasile è in prima fila a bruciare alberi per far spazio ai terreni agricoli. Perché con Putin fuori dalla Lega Artica e da ogni consesso internazionale, la prospettiva che la Russia immetta nel mercato le sue immense riserve di gas sepolte sotto il permafrost siberiano – abbassando drasticamente il prezzo del gas per riprendersi le quote di mercato perse durante la guerra – e approfitti dello scioglimenti dei ghiacci polari per aprire le rotte commerciali artiche sono cresciute esponenzialmente. Perché una divisione in blocchi in cui l’Occidente sta da una parte, mentre Brasile, India, Cina e Russia stanno dall’altra è la pietra tombale su ogni pretesa di sforzo globale condiviso verso la mitigazione del cambiamento climatico.

Facciamo un salto pure a casa nostra, già che ci siamo. In Europa, dove il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans ha detto solo pochi giorni fa che “Il ritorno al carbone non è un tabù per uscire dalla crisi del gas”.  O in Italia, dove Matteo Salvini ha definito il Pnrr – il nostro viatico verso la transizione energetica – un “documento archeologico”, a cui ha fatto eco il suo compagno di partito Luca Zaia, che ha chiesto una rinegoziazione del piano perché ora “c’è la gente da sfamare”.O dove Confindustria ha già chiesto, già che c’è, di spostare in avanti gli obiettivi di indipendenza dalle fonti fossili più avanti nel tempo, che le emergenze oggi sono altre.

Difficile dire se fossimo degli illusi fino a qualche mese fa, o se siamo troppo pessimisti ora. Ma quel che vediamo è una resa senza condizioni alla speranza di poter invertire la rotta verso un nuovo modello di sviluppo senza combustibili fossili. Una resa, soprattuto, all’idea che il mondo possa evolvere verso una prospettiva di cooperazione, perlomeno di fronte a una minaccia che ne mette a rischio la sopravvivenza.

Peggio ancora: siamo passati dal sogno di un mondo a energie rinnovabili all’incubo di un mondo devastato dalle bombe atomiche, come se davvero avessimo scelto – come prima, più di prima – che l’autodistruzione sia l’unico inevitabile destino della specie umana, come se preferissimo la catarsi bellica alla rivoluzione ecologica. Come se non ce ne importasse più nulla di invertire una rotta che sarebbe devastante per le generazioni che verranno.

Nessuno di noi ha scelto questa strada, direte voi. L’ha scelta Putin per noi, aggiungerete. Eppure dovremmo tutti prendere coscienza di quanto ci stia tutto sfuggendo di mano. Perché l’ultima cosa che dovremmo fare, in questo senso, è evitare che le opinioni pubbliche occidentali si convincano che ogni sforzo legato alla transizione ecologica sia un lusso che non ci possiamo permettere in questa situazione. Che la necessità di reperire idrocarburi ovunque sia possibile consolidi le rendite di posizione dei regimi che fondano il loro potere economico e politico sui loro giacimenti di fonti fossili. Che i soldi destinati alla transizione energetica finiscano tutti in armi. Che si consolidi un fronte Russia-Cina-India-Brasile che si metta di traverso a ogni sforzo globale per la transizione energetica.

Che è poi quello che sta avvenendo sotto ai nostri occhi, mentre cerchiamo di capire come rispondere a Putin.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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