In un afoso giovedì di luglio, a via Pescaglia, la strada che incrocia via della Magliana e Pian due Torri, nella zona est della capitale, si vede sfrecciare il camion dei pompieri a sirene spiegate. La strada è tranquilla, ha il solito aspetto, l'immancabile coda di auto parcheggiate lungo il marciapiede, i palazzoni-alveare con i balconi spalancati per il caldo e le scritte degli ultrà sui muri di mattoni. Qualcuno, però, ha chiamato i caschi arancioni per un incendio nel parcheggio, un rogo di sterpaglie. ‘Il solito incivile' pensano gli uomini accorsi in via Pescaglia, o un teppistello di quartiere. Nulla di serio, insomma, tanto che i pompieri ci mettono poco a domare le fiamme. Quando tutto sembra finito, mentre gli ultimi scoppiettii si smorzano, il potente getto della pompa spara lontano rifiuti e foglie, portando alla luce qualcosa di scuro, come bastoncini di legno anneriti. Qualcuno si china per prenderne uno in mano, ma lo lascia cadere subito a terra.
È un osso, un osso umano.
Da sotto i resti del rogo ne spunta un altro e un altro ancora, fino a svelare un vero e proprio disegno anatomico, uno scheletro con un teschio. Una scoperta incredibile in quella zona di rapine e furtarelli dove al massimo arriva la polizia scientifica, non certo i paleontologi forensi. Invece proprio lì davanti ai pompieri c'è uno scheletro disposto con cura, sicuramente prima dell'incendio, da un misterioso necroforo. È assolutamente da escludere che lo sfortunato uomo il cui scheletro è emerso dalle fiamme, possa essere morto lì in quel posto così popolato e che lì si sia decomposto fino a scarnificarsi completamente in un processo che richiede anni e non passa di certo inosservato. No, quello scheletro è proverbialmente uscito dall'armadio di qualcuno che lo ha trasportato e disposto con attenzione in quella strada di periferia. ‘Perché?' è la domanda. Perché consegnare lo scheletro alla polizia con quella messinscena? La risposta è semplice: il narcisismo, l'insopprimibile esibizionismo di chi aveva custodito quei resti, smanioso di farli ritrovare. E forse il misterioso becchino è proprio lì, in via Pescaglia, a godersi lo spettacolo come un passante qualunque. Magari a distanza, sull'altro ciglio della strada a osservare le reazioni dei poliziotti, o vicinissimo, alle spalle degli agenti della Squadra Mobile, con l'orecchio teso a carpire le prime conclusioni del professor Cipolloni, il medico legale giunto sul posto.
L'indizio
Quella di Roma, balzata immediatamente agli onori delle cronache, è senza dubbio una storia folle e incredibile anche per la Magliana che non ha dimenticato il diabolico massacro del ‘Canaro‘, una storia che sembra uscita dalle pagine di un romanzo di Jeffrey Deaver o James Ellroy. In via Pescaglia seguono subito altre ricerche che portano al ritrovamento di un mazzo di chiavi e un marsupio con un documento d'identità. Sulla carta si legge distintamente un nome: ‘Libero Ricci'. Il signor Ricci, apprendono poco dopo gli agenti, è scomparso dal 31 ottobre 2003 proprio da quel quartiere. Classe 1926, Libero era stato per tutta la vita operaio di una ditta che lavora per il Vaticano, dove aveva avuto modo di conoscere figure di spicco del clero romano. Una vita semplice e regolare fino alla scomparsa. È lui lo scheletro della Magliana? Ci vogliono tre anni prima che gli scienziati possano rispondere a questa domanda. Intanto, la Procura, convinta che l'uomo della Magliana sia stato ucciso, apre un'inchiesta per omicidio e occultamento di cadavere. Finalmente nel 2010, grazie all'evoluzione dei metodi di analisi, arrivano i risultati del test del DNA sulle ossa.
E portano a galla una verità sconcertante.
Il collezionista
Quelli di Pian due torri sono i resti di cinque persone diverse, nessuna delle quali è Libero Ricci. L'Istituto di Medicina Legale di Roma attribuisce il teschio e la spina dorsale a una donna tra i 45 e i 55 anni, morta tre il 2002 e il 2006 che verrà chiamata F1. Altri resti appartengono a, F2, una seconda donna, deceduta tra il novembre del 1992 e il febbraio del 1998, in una età compresa tra i 20 e i 35 anni. Ci sono anche i resti di una terza donna, F3, morta tra il 1995 e il 2000, tra i 35 e i 45 anni. Il resto delle ossa appartiene a due uomini: M1, morto tra il 2002 e il 2006, tra i 40 e i 50 anni di età e M2, tra i 25 e i 40 anni, morto tra il 1986 e il 1989. Partono i confronti con le persone scomparsa tra il '92 e il 2006′ a Roma, ma non vengono riscontrate corrispondenze. Ci si interroga a lungo, intanto, sull'identità del collezionista di ossa della Magliana. Inizialmente si pensa ad un necrofilo, un ladro di tombe, magari impiegato nel settore delle pompe funebri o del cimitero, qualcuno che abbia avuto accesso alle spoglie dei morti. Ma secondo il professor Cipolloni, il medico legale che esaminò i resti, l'ipotesi è da scartare. Sulle ossa, infatti, non sono presenti tracce di zinco o altri materiali con cui di solito vengono fabbricate le bare. I resti, inoltre, risalgono a epoche molto lontane tra loro, il che significa che il collezionista ha operato per molti anni e forse in diverse regioni d'Italia.
L'epilogo
Oggi il DNA di F2, la più giovane delle donne le cui ossa sono state usate per disegnare lo scheletro romano, verrà comparato con esito negativo con quello di Alessia Rosati, ventunenne scomparsa a Roma nel 1994. Nulla si sa, invece, dell'ignoto collezionista, la cui identità rimane, tuttora, un mistero. L'inchiesta per omicidio e occultamento di cadavere è stata archiviata nel 2011, non prima, però, di aver svelato una impressionante verità: F1, la donna a cui appartengono il teschio e la spina dorsale dello scheletro è legata da un vincolo biologico di parentela a un uomo il cui nome è apparso all'inizio di questa storia.
Libero Ricci, mai ritrovato.