Quella orribile foto postata sui social del corpo di Pamela Mastropietro che non vi mostreremo
"No, non è il mio FaceApp, ma è come mi ha ridotto l'immigrazione criminale". Il mood accompagna due foto di Pamela Mastropietro: la prima (quella che vi mostriamo) è un normale selfie della giovane. La seconda, invece, non ve la mostreremo, perché ritrae la testa, staccata dal corpo, di Pamela Mastropietro quando è stata trovata morta. È verosimilmente un'immagine scattata in sede di rilievo sui resti del cadavere della povera ragazza. Dietro la testa, colorata con degli scarabocchi rosa per occultare il povero volto sfigurato, si intravedono i sacchetti di colore azzurro nei quali erano stati stipati gli altri resti e le altre parti del corpo. Si nota perfino un contrassegno con una ‘A', di quelli usati dalla Scientifica per segnare le prove repertate.
Il mood prende spunto dalle doppie foto di FaceApp che in molti hanno condiviso con gli amici negli ultimi giorni. Solo che non c'è la foto della ragazza con il volto invecchiato dall'App ma quella del suo cadavere. E non è uno scherzo, ma una provocazione. La cosa che colpisce, tuttavia, è che questo post non appare su uno di quei gruppo goliardici che tutti segnaliamo in massa a Facebook, ma su "La voce di Pamela Mastropietro", la pagina Facebook di riferimento del caso dell'omicidio di Pamela Mastropietro, spesso utilizzata dai familiari per aggiornamenti sul caso.
Nonostante la crudezza del contenuto, Facebook, la cui policy è rigidissima quando si tratta della foto di una donna in costume da bagno, non la blocca, non la penalizza, non la censura, niente. Il post, peraltro, ha già centinaia di like e si sta diffondendo sulle bacheche a macchia d'olio. L'impressione è che il concetto principale del mood, non sia tanto l'orrore di cui è stata vittima la ragazza, uccisa, fatta a pezzi e messa in valigia come un manichino smontato, ma il concetto di "immigrazione criminale". Cosa vuol dire immigrazione criminale? Andrebbe specificato cosa si intende per immigrazione criminale perché è un concetto che nelle mani dei fomentatori di odio, di chi semina violenza cieca, degli intolleranti, può prestarsi a molte strumentalizzazioni. Rischia di dare a chi vive nell'ignoranza e nella paura del prossimo, un motivo per odiare, e non è certo quello che la famiglia vuole. Non si attacca colui che nel primo grado di giudizio è stato condannato per violenza sessuale, omicidio e vilipendio di cadavere, Innocent Oseghale, colui che, secondo la magistratura, ha la responsabilità personale delle aberrazioni compiute, ma si discute il fenomeno sul quale è aperto un delicato dibattito sociale.
"No, scusate, ma pubblicare davvero la sua foto non è rispettoso per la ragazza anche se lo fa la famiglia stessa. Replica nei commenti V.A. "Se lei è rimasta scioccata da una fotografia che è stata per la maggior parte oscurata, ed è una delle meno traumatiche, si figuri il resto", risponde la pagina "La voce di Pamela", manifestando un pensiero della famiglia. "In un paese in cui c'è ancora chi inneggia all'immigrazione indiscriminata – chiosa – occorre svegliare le coscienze. E questo è uno dei modi". Si può non essere d'accordo. La rabbia e il dolore per quello che è successo a Pamela sono e resteranno inesauribili e ricordare quello che le è successo con una foto scioccante e brutale, come nella migliore tradizione della cronaca, da Aldrovandi a Cucchi, è uno strumento legittimo. Forte, ma legittimo. Purché non diventi materia strumentale per il popolo dell'odio, quello dei violenti e degli estremisti che cercano solo un motivo, sbagliato, seminare il male.