Tempo fa ho intervistato un gruppo di ostetriche; avremmo dovuto parlare di corsi preparto e invece siamo finite a parlare d’altro: erano tutte molto giovani e avevano deciso di mettersi in proprio perché nel corso della loro finora breve carriera avevano assistito a tutta una serie di pratiche altamente lesive della dignità della donna. Oltre a numerosi episodi di violenza ostetrica, le dottoresse lamentavano un generale disinteresse della salute fisica e mentale delle pazienti, che si presentavano da loro con un pesante bagaglio di consigli sbagliati che riguardavano la loro sfera intima e in particolare i rapporti sessuali penetrativi. Molte donne provano dolore, tantissime non provano piacere e spesso tutto questo è dovuto a traumi causati da piccoli o grandi episodi di violenza che le donne spenno non hanno gli strumenti per classificare come tali. Quando pensiamo a uno stupro, ad esempio, le prime immagini che ci vengono in mente riguardano estranei che picchiano la vittima, la assalgono e la costringono a un rapporto non consensuale in un luogo buio e isolato. Eppure i dati ci dicono che la maggior parte degli stupri non avviene ad opera di un estraneo ma ad opera del partner. A questo dato se ne aggiunge un altro, ovvero che una larghissima parte delle donne che hanno subito violenza non solo preferisce non denunciare ma addirittura sceglie di non raccontarlo a parenti o amici.
Le cause di questo stato di cose sono svariate – pedagogiche, educative, sociali – e sono tutte ascrivibili alla così detta cultura dello stupro, ovvero quel sistema di norme scritte e non scritte che giustificano e minimizzano la violenza di genere e stigmatizzano le donne che denunciano o che ne parlano apertamente.
Un caso da manuale di cultura dello stupro è accaduto a Benevento dove il pubblico ministero Flavia Felaco ha chiesto l’archiviazione per un uomo accusato di violenze domestiche "considerato anche comune negli uomini dover vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende ad esercitare quando un marito (che nel caso di specie appare particolarmente amante della materia) tenta un approccio sessuale”. Stando alle motivazioni presentate dalla pm insomma, è normale che un uomo “eterosessuale” – questo lo dicono le carte – forzi con la violenza la propria partner ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà. Nel caso di Benevento la donna dopo aver sporto denuncia ora si trova in un centro anti-violenza ed ha affidato la sua difesa all’avvocato Michele Sarno che ha deciso di rendere nota la vicenda anticipando le motivazioni della richiesta d’archiviazione al Fatto Quotidiano. Nell’intervista Sarno riferisce tra le altre cose un un episodio inquietante: durante una cena a cui erano presenti parenti e amici, dopo un servizio sul femminicidio l’uomo avrebbe puntato un coltello al collo della moglie affermando che sarebbe finito presto anche lui al telegiornale. L’episodio, secondo la pm, è ascrivibile a un contesto goliardico e pare di sentire alzarsi più di una voce autorevole per lamentarsi che la giorno d’oggi è impossibile scherzare e che non si può più dire niente.
Ora spetta ai giudici decidere se accogliere o meno le richieste del pubblico ministero ma intanto la vicenda ha attirato l’attenzione della stampa nazionale e oggi è su tutti i giornali. Stupisce ma non dovrebbe, visto che già in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere la Commissione d’inchiesta sul Femminicidio aveva denunciato la generale impreparazione del personale giudiziario nell’accogliere e trattare i casi di violenza contro le donne. Quella relazione ha portato all’inasprimento delle pene attraverso tutta una serie di misura annunciate nel corso di una conferenza stampa tenuta dalle ministre del governo alla presenza del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Una scelta che non è piaciuta al giornalista Carlo Verdelli che in un duro editoriale sul Corriere della Sera invitava a trattare la violenza di genere non come un argomento di settore ma come un problema universale che dovrebbe preoccupare e indignare tanto gli uomini quando le donne.
Sia chiaro, l’inasprimento delle pene è un atto dovuto e che risponde ai numerosi casi in cui comportamenti violenti e vessatori sono stati presi sotto gamba da parte dei giudici e delle forze dell’ordine, ma il problema è a monte ed è talmente pervasivo che è difficile pensare che si possa trovare una soluzione rapida e tempestiva.
Il quadro è inquietante e i numerosi rapporti e studi di settore ci raccontano che per ogni caso emerso ce ne sono tantissimi che non solo non arrivano sulle pagine dei giornali ma che non arrivano nemmeno a essere discussi o dibattuti perché la vittima sceglie di non denunciare o non ha gli strumenti per riconoscere che su di lei è stata usata violenza.
Nel corso della mia chiacchierata con le ostetriche, mi è stato raccontato che alle donne che provano dolore durante i rapporti molti medici consigliano di usare la crema anestetizzante, altri invitano le donne a “fare uno sforzo”. Molte di noi si sono sentite dire quelle cose, molte di noi hanno subito dei traumi che non sono stati riconosciuti e trattati adeguatamente; molte di noi non hanno denunciato per paura di ritorsioni da parte del partner e per il timore di finire sulla pubblica gogna del paese o dei social, che mai come in questi casi si scatenano per trovare il cavillo per giustificare l’uomo accusato meglio se potente e famoso, anche se oggi pure l’uomo comune suscita simpatia, qualsiasi cosa pur di denunciare un presunto clima da caccia alle streghe.
Occorre quindi ribadire qualcosa che sembra ovvio ma evidentemente non lo è: qualsiasi rapporto che avviene in maniera non consensuale è uno stupro. Mettiamocelo bene in testa.