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Quattordici ore di lavoro al giorno e da bere acqua di un pozzo: 7 arresti per caporalato a Foggia

Centocinquanta braccianti, tutti stranieri, sono stati sfruttati per mesi nella raccolta di pomodori e ortaggi in Puglia: dovevano lavorare 14 ore al giorno, senza pause, potevano bere acqua da un pozzo inquinato e venivano anche multati se nei cassoni finivano pomodori sporchi di terra. Arrestati 6 imprenditori italiani e un caporale senegalese.
A cura di Davide Falcioni
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Fino a 14 ore di lavoro al giorno nei campi, sotto il sole cocente, chini a raccogliere pomodori senza mai poter fare una pausa e con a disposizione acqua non potabile attinta da un pozzo: l'ennesima storia di schiavitù arriva ancora una volta dalla Puglia e riguarda 150 braccianti, tutti stranieri reclutati a Borgo Mezzanone o nel ghetto di Rignano Garganico e sfruttati da imprenditori senza scrupoli, sette dei quali sono stati arrestati: tre di loro sono ai domiciliari e altri quattro in carcere, tutti dovranno rispondere dell'accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. In manette sono finiti cinque foggiani, un termolese e un cittadino senegalese residente a Foggia ritenuto dagli inquirenti "il caporale che faceva da intermediario nelle attività di reclutamento dei braccianti". Le aziende agricole coinvolte nell'inchiesta, coordinata dalla procura di Foggia, sono state poste in amministrazione giudiziaria; ognuna di loro aveva un giro di affari pari a circa due milioni di euro mentre ammonta a un milione di euro il valore dei beni, mobili e immobili, sequestrati.

Le indagini, condotte dai carabinieri della compagnia di San Severo e dai colleghi del nucleo tutela del lavoro di Napoli, sono iniziate circa tre mesi fa dopo la denuncia di due braccianti. Gli accertamenti hanno evidenziato che una cooperativa di Orta Nova "si comportava come una agenzia interinale, assumendo i lavoratori ma eludendo i controlli e consentendo lo sfruttamento illecito di manodopera: era una società schermo", ha spiegato il maggiore Ivano Bigica. Agli operai non venivano versati i contribuiti né forniti dispositivi di sicurezza.

Di fatto, secondo quanto accertato, "la società forniva un pacchetto di raccolta di pomodori in condizioni di sfruttamento", fungendo da agenzia interinale senza averne i requisiti , "favorendo così gli imprenditori a eludere la legge sul collocamento e riducendo i costi ai reali datori di lavoro, creando una lesione ai diritti dei lavoratori reclutati massimizzando così i profitti", hanno spiegato gli inquirenti. I braccianti venivano tra i 4,50 e i 5 euro per cassone riempito di ortaggi, ma venivano loro sottratti "50 centesimi per ogni inadempienza compiuta, dove per inadempienza si intende un pomodoro sporco di terra o una cassetta sistemata male sul camion". Come se non bastasse i lavoratori venivano costantemente videoregistrati affinché producessero il più possibile limitando al massimo le pause

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