Alla fine la Storia (quella maiuscola) ritorna. Sempre. E quando riemerge smutanda i potenti anche se sono seduti sui troni più alti del mondo. Così succede che Donald Trump, l'uomo che alla guida dell'America si ostina a volere catalogare le persone in base all'etnia, oggi venga smentito addirittura dal nonno.
La scoperta l'ha fatta il quotidiano tedesco Bild e il Washington Post l'ha subito rilanciata: è il ritrovamento della lettera con cui Friedrich Trump (nonno del Presidente USA) nel 1905 implorava il principe reggente Luitpold di Baviera per non vedersi revocata la cittadinanza tedesca e non essere espulso verso gli Stati Uniti. Le parole, per ironia della storia, risuonano terribilmente contemporanee.
Friedrich Trump nasce a Kallstadt, città bavarese, nel 1869 e decide di emigrare per l'America all'età di 16 anni. Il suo trasferimento verso gli USA gli evita di prestare il servizio militare obbligatorio. Pur avendo fatto fortuna in America il nonno di Trump viaggiava spesso verso la Germania e quando conobbe e sposò Elisabeth; decise, nel 1904, ormai arricchito, di tornare definitivamente in terra tedesca.
Il mancato servizio di leva però si rivelò un imprevisto ostico: secondo la legge tedesca il mancato compimento del servizio militare obbligatorio comportava l'automatica decadenza della cittadinanza e l'espulsione. Friedrich Trump le tentò tutte per riuscire a cavarsela fino a impugnare carta e penna per scrivere al principe reggente
Nella lettera (che inizia con un barocco "Serenissimo, potentissimo principe reggente! Reggente e Signore pieno di grazia!") Trump racconta di essere cresciuto in una famiglia semplice e onesta educato fin da piccolo "alla diligenza e alla pietà, alla regolare frequentazione delle scuole e alle funzioni di chiesa, all’obbedienza assoluta verso l'alta autorità". Racconta del suo apprendistato presso un barbiere e delle iniziative imprenditoriali in USA ("ho portato avanti la mia attività con diligenza, discrezione e prudenza. La benedizione di Dio era con me, e sono diventato ricco. Ho ottenuto la cittadinanza americana nel 1892"), fino all'incontro con la moglie e la decisione di ritornare in Germania ("Purtroppo, lei non tollera il clima di New York, e quindi sono tornato con la mia amata famiglia a Kallstadt"). "Ma d'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, – scrive Trump – ci è arrivata la notizia che il Ministero aveva deciso che dovessimo lasciare la nostra residenza qui nel Regno di Baviera. Siamo rimasti immobilizzati dalla paura; la nostra vita familiare felice è stata offuscata. Mia moglie è stata presa dall’angoscia, e la mia amata bambina si è ammalata. "Perché dovremmo essere espulsi?", scrive Trump, "è troppo difficile per una famiglia. Che diranno i nostri concittadini se persone oneste si trovano ad affrontare un tale decreto – oltre alle grandi perdite materiali in cui anche loro incorrerebbero? Vorrei diventare di nuovo un cittadino bavarese". La lettera si conclude con: "Il vostro umile e obbediente, Friedrich Trump”
Basterebbe cambiare l'anno, il luogo e la firma perché questa lettera fosse una delle tante richieste di comprensione che arrivano in queste settimane da chi, residente da anni in USA, è diventato improvvisamente "straniero" per una firma del presidente Trump. Basterebbe leggere la paura, l'angoscia e l'offuscamento della felicità descritti da nonno Trump per comprendere senza troppa fatica che gli errori (e i dolori) sono gli stessi. I diritti, del resto, sono quasi sempre quelli degli altri ma quando ci toccano da vicino, chissà perché, siamo tutti pronti a considerarle tragedie. E oggi, Friedrich Trump, forse è messicano.
E chissà che ne dice, rileggendola, suo nipote Donald.