Quando i figli uccidono i genitori: dai Neumair a Laura Ziliani, analogie tra i parricidi odierni
L’uccisione di uno o di entrambi i genitori, che rappresenta forse la dinamica omicidiaria più efferata e a maggior impatto emozionale sull’opinione pubblica, è diventata un’atroce sentenza di questo 2021. Ed è proprio in quell’ambiente, la casa, che dovrebbe essere contenitore di affetti, che la violenza si allarga fino ad esplodere. Fabrizio Rocchi, arrestato lo scorso sabato ad Ardea per l’omicidio della madre Graziella Bartolotta, è solo l’ultimo in ordine di tempo. Nel panorama nazionale, i dati fornitici dalla cronaca di questi mesi consentono di circoscrivere ancora di più nel dettaglio, se possibile, le caratteristiche dei "figli killer".
Il primo elemento comune riscontrabile è il "ruolo sociale" di chi si rende responsabile di questi delitti: i figli assassini sono tutti soggetti disoccupati o con un lavoro precario. Così Benno Neumair e Silvia e Paola Zani. Si tratta di un elemento non di poco conto dal momento che esso annovera l’interesse economico tra le ragioni che hanno mosso il crimine. Difatti, frustrazioni e miti di benessere economico elevati alimentano il conflitto familiare facendo diventare l’eliminazione fisica del genitore (o di entrambi) il giusto mezzo per ottenere ciò che si desidera senza troppi sacrifici. La scena del crimine è nella maggior parte di questi delitti la casa di famiglia, in condizioni di coabitazione genitore-figlio (più o meno continuativa).
Così è stato per il delitto di Bolzano, per il delitto di Ardea e per quello di Temù. Lo stesso Rocchi si recava più volte al giorno a casa della madre Graziella, della cui salute si prendeva cura da vent’anni insieme ad una badante. Altro elemento che si afferma prepotentemente è il dato per il quale, questi tipi di omicidi, solitamente non maturano mai nell’immediatezza ma sono frutto di una lunga e attenta preparazione, cui segue un certosino tentativo di occultamento del cadavere (o dei cadaveri).
Il delitto di Bolzano
Benno Neumair fin dal primo momento della denunciata scomparsa dei genitori è apparso come freddo e scarsamente empatico. Così come distaccate e poco credibili nel manifestare il dolore sono state le sorelle Zani. Tutti e tre, infatti, si sono preoccupati di fornire un’immagine rasserenante e di allontanare da sé qualsiasi sospetto anziché fornire un contributo utile nello svolgimento delle indagini. A differenza di Paola e Silvia, Benno ha ucciso entrambi i genitori. E lo ha fatto quale soggetto altamente egoriferito che ha costruito tutta la sua esistenza sull’apparire. Un soggetto impulsivo, in grado di sperimentare montagne russe di sentimenti ed emozioni forti per lui incontrollabili.
Benno ha agito da solo, animato da un disturbo narcisistico e antisociale di personalità. Disturbo peraltro già diagnosticatogli prima del parenticidio quando si trovava in Germania. Stando a quanto messo nero su bianco dai periti del Gip, e condiviso in sede di conclusione di avviso indagini da parte del Pm, era seminfermo di mente quando ha ucciso Peter mentre era perfettamente lucido e capace quando ha commesso il delitto di Laura. Razionalmente è difficile comprendere questa analisi, dal momento che, quando è presente un disturbo della personalità, esso non si manifesta in maniera intermittente. Quel che però appare plausibile è ritenere che la lite del giovane con il padre abbia avuto il ruolo di detonatore rispetto al disturbo stesso. Quanto all’omicidio della madre, invece, è chiaro come Benno abbia percepito la necessità di eliminare il genitore sopravvissuto, sopraggiunto in un momento successivo e quindi divenuto testimone scomodo. In questo dato affonda verosimilmente la premeditazione di cui parlano i periti del Gip.
Il delitto di Temù
A differenza di Neumair, colpevole di parenticidio, le Zani hanno commesso esclusivamente l’omicidio della madre. Ma le divergenze tra i crimini sono plurime. Mentre Benno aveva pregressi disturbi di matrice psichiatrica sfociati, qualche mese prima del duplice omicidio, in una crisi psicotica, Paola e Silvia non vantano uno storico di simile portata. In più, se il primo ha agito da solo, le seconde si sono avvalse della collaborazione (per non dire della regia) di un terzo soggetto. Ancora. Benno ha confessato nell’immediatezza del suo arresto, al contrario, le figlie di Laura Ziliani, al momento, si sono trincerate dietro un fragoroso silenzio. Mentre nel caso del bolzanino l’impeto ha avuto un ruolo determinate per quanto riguarda l’omicidio del padre – premeditando solo quella della madre – le sorelle Zani hanno cercato di organizzare il delitto perfetto. Scomodando, quindi, fin da subito, un certo grado di premeditazione. Guardando all’atteggiamento post-delictum, tutti e tre hanno tentato di rifugiarsi nella quotidianità senza rinunciare ad un atteggiamento dissimulatorio. Il primo a cena da un’amica, le seconde pianificando vacanze e l’anticipo per una macchina nuova. Infine, ma non in ultimo, c’è la paura. La paura di Laura e Peter, che avevano confidato ad alcuni parenti di aver fatto sparire tutti i coltelli dalla cucina per paura di un folle gesto del figlio. E c’è la paura di Laura Ziliani nutrita nei confronti delle figlie e raccontata all’amica.
Cosa si cela dietro questi orribili delitti
Il movente economico o futile è solitamente posto alla base di questi omicidi. Ma, dietro, c’è, in verità, molto altro. Ci sono le carenze affettive e deficit emotivi che molto spesso facilitano l’insorgere di assetti di personalità disarmoniche e dismaturative. A ciò va ad aggiungersi la presenza di un divario generazionale spesso incolmabile, fatto di vicendevoli incomprensioni e mancanza di dialogo. Sullo sfondo anche, e forse soprattutto, squilibri della sfera emotiva che impediscono la costruzione di un “io” maturo, sensibile ed in grado di percepire il disvalore delle proprie ed altrui azioni.