“Quando arrivammo a Bologna non c’era nessuno”, il partigiano Italiano racconta il suo 25 aprile
In occasione del 76esimo anniversario dalla giornata della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo, la città di Bologna si addobba a festa. Lungo le mura, appesi ad ognuna delle porte monumentali, sventolano i ritratti di 12 protagonisti della Resistenza (6 uomini e 6 donne). "E' come un abbraccio virtuale che i partigiani danno alla città di Bologna", spiega Anna Cocchi, presidente di Anpi (Associazione Nazionali Partigiani d'Italia) di Bologna. Ognuno dei ritratti, poi, è accompagnato ad un articolo della Costituzione, in memoria del legame indissolubile tra la Resistenza e la nascita dello stato di diritto in cui oggi viviamo.
Tra i 12 ritratti realizzati dalla pittrice Antonella Cinelli c'è quello di Renato Romagnoli, situato a Porta Lame. E' proprio qui, in Piazza 7 novembre, che in quel giorno del 1944 Renato Romagnoli si distinse in coraggio e valore, organizzando una rappresaglia senza precedenti alle truppe occupanti dei nazifascisti. Comandante della 7a brigata GAP, oggi 95enne, Renato aveva solo 16 anni quando iniziò a combattere a fianco dei partigiani, subito dopo essere stato arrestato per aver contribuito ad organizzare i grandi scioperi del '43. Con il suo nome di battaglia "Italiano", l'uomo ha contribuito in maniera decisiva alla lotta al nazifascismo, vincendo la medaglia d'argento al valor militare. I suoi ricordi e la sua memoria sono un patrimonio prezioso per le future generazioni. Non si stanca mai di parlare né di rispondere a qualunque domanda: "Mantenere viva la memoria di quei giorni per me è un modo per continuare la lotta", spiega, prima di tornare agli anni della gioventù. Anni in cui, a quanto ci dice, fare una scelta di campo non era un'opzione. "Anche per i privati cittadini, era quasi impossibile rimanere neutrali, bisognava scegliere da che parte stare, se con gli occupanti o con i partigiani. Io non ebbi mai dubbi, anche perché ero iscritto al Partito Comunista ed ero un operaio".
Per aver aiutato ad organizzare gli scioperi per la pace del luglio del '43, all'età di soli 16 anni venne messo in carcere, dove rimase fino al settembre dello stesso anno. Appena uscito, anche per sfuggire al processo, chiese di unirsi al movimento partigiano e fu mandato per alcuni mesi nelle montagne venete, nei pressi di Belluno. Tornato a Bologna, si unì alla Settima Brigata GAP, di cui divenne comandante, distinguendosi per coraggio e vincendo la medaglia d'argento al valor militare (riconosciutagli, ovviamente, solo dopo la fine della guerra). "Ci nascondevamo in un appartamento in via Paolo Costa – racconta – Naturalmente avevamo cambiato i nomi sui campanelli e fummo così bravi a nasconderci che i nostri vicini non si accorsero della nostra identità fino al 21 aprile 1945, quando tornammo a casa armati di tutto punto dopo che la città fu liberata.
Renato Romagnoli ricorda con particolare amarezza gli anni subito successivi alla fine della guerra. "In pochi lo sanno, ma i partigiani vennero pesantemente perseguitati dopo la fine della guerra. Eravamo persone poco gradite agli inglesi e agli americani che volevano arrogarsi tutto il merito della Liberazione dal nazifascismo". Per questo motivo Italiano fu imprigionato ben due volte fra il 45 e il 51, trascorrendo 28 mesi in carcere, per poi essere prosciolto da tutte le accuse. Oggi Italiano è membro attivo dell'Anpi e vive ancora a Bologna insieme a sua moglie, con cui è sposato da 70 anni. Non hanno avuto figli: "Non è che non li volessimo, è che non sono mai arrivati", ci spiega. "Se avessi avuto un figlio, gli avrei insegnato che bisogna impegnarsi, partecipare. Mai delegare ad altri. Non aspettate che le cose vengano dall'alto, impegnatevi secondo le vostre capacità nella creazione del futuro".
"Cos'è la libertà? La libertà è la parola più bella della democrazia!", conclude. "Rispetto alle restrizioni che ci vengono oggi imposte a causa della pandemia, bisogna distinguere tra "Libertà" in senso ampio e "arbitrio". Libertà è la possibilità di esprimere le proprie idee e le proprie convinzioni politiche e adoperarsi per metterle in pratica a livello di proselitismo e di organizzazione. Questo è il senso ultimo della libertà. E checché se ne dica l'Italia è, almeno ad oggi, un Paese libero".