Prostitute in crisi per il Covid: “Zero tutele, vogliamo che il nostro lavoro sia decriminalizzato”
"Le sex workers non si sono mai riprese dal lockdown, quando molte di loro facevano la fila davanti alle mense della Caritas e non potevano pagare l'affitto". A raccontarlo a Fanpage.it è Anna D’Amaro, operatrice sociale del Mit (Movimento d’Identità Trans), che ogni giorno, insieme alla sua unità di strada, presta aiuto alle lavoratrici del sesso.
Il lockdown che la scorsa primavera ha messo in ginocchio l’intera economia mondiale non ha risparmiato neanche la prostituzione. Per mesi le sex workers hanno dovuto interrompere le loro attività, ripiegando a volte sugli incontri con i clienti in chat. La perdita delle entrate giornaliere le ha gettate in una crisi profonda.
“Alcune di loro ci hanno raccontato che la situazione è leggermente migliorata rispetto al periodo della quarantena. Il numero di clienti è ritornato ad essere quasi come quello pre pandemia. Il vero problema è che siamo in un periodo di crisi diffusa e, quindi, chi si mette in contatto con loro propone prezzi molto bassi per le prestazioni. Di conseguenza, oltre a dover ripagare i debiti accumulati durante la quarantena, possono contare su un guadagno molto minore”.
Sulla strada per aiutare le sex workers
“L’unità di strada del Mit si occupa prevalentemente di riduzione del danno”, spiega Anna. “Ovvero intercettiamo le sex workers sia in strada sia in casa e forniamo loro profilattici, lubrificanti e materiale informativo su HIV e altre malattie sessualmente trasmissibili”.
“Durante il lockdown, la nostra équipe ha lanciato una raccolta fondi insieme al Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, al collettivo femminista Ombre Rosse e ad altre 17 unità di strada sul territorio nazionale. E’ andata molto bene: abbiamo raccolto circa 25mila euro che sono stati spesi in pacchi alimentari per aiutare le lavoratrici sessuali che ne avevano bisogno. Ci sono arrivate moltissime richieste di aiuto da tutta Italia. Ancora oggi, appena possiamo, distribuiamo generi alimentari ma è solo un palliativo momentaneo, perché la crisi continua. Quello di cui hanno davvero bisogno le sex workers che hanno scelto autonomamente di fare questo lavoro sono delle tutele sociali. Non essendo riconosciute come lavoratrici autonome, non rientrano nelle categorie aventi diritto di aiuti economici da parte dello Stato. Queste persone sanno di essere fortemente stigmatizzate, quindi vedono la richiesta di tutela e diritti come una battaglia persa”.
La battaglia del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute
“Bisognerebbe combattere la tratta di esseri umani ma, allo stesso tempo, decriminalizzare il lavoro delle sex workers che scelgono autonomamente questo mestiere", dice a Fanpage.it Pia Covre, 73 anni, ex lavoratrice sessuale, una vita dedicata a combattere per la dignità e i diritti di una professione socialmente non accettata. Nel 1982, insieme ad altre colleghe, ha fondato il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, di cui adesso è presidentessa. Inoltre, è parte del consiglio direttivo dell’associazione Certi Diritti. "La prostituzione non è illegale in Italia, ma, di fatto criminalizzata e ostacolata in mille modi. La legge Merlin del 1958 ne vieta l'esercizio in luoghi chiusi e all'aperto se reca disturbo alla quiete pubblica. Le sex workers possono aprire una partita Iva e pagare le tasse ma non dichiarando il lavoro che svolgono in realtà. Inoltre, il fatto che lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione siano un reato può spesso causare problemi anche in assenza di atti realmente criminali. Cito l'esempio di una vicenda avvenuta qualche anno fa: due lavoratrici sessuali convivevano e una di loro riceveva dall'altra una somma di denaro, che veniva poi impiegata per il pagamento di metà dell'affitto. Questa ragazza è stata accusata e condannata per favoreggiamento alla prostituzione".
“Nel luglio scorso, dopo il lockdown e appena dopo la pubblicazione del Decreto Rilancio, il Comitato, con la collaborazione di Certi Diritti, ha lanciato una petizione nella quale chiedeva al Parlamento di affrontare seriamente il tema di tutti i lavoratori del sommerso che stavano subendo la crisi da Covid-19 senza nessun tipo di aiuti da parte dello Stato. E ovviamente in questa categoria rientrano anche le migliaia di lavoratori del sesso presenti in Italia”.
“A causa della loro condizione, le sex workers sono soggette a sfruttamento e ricatti economici. Non solo sono ricattate dai clienti e dai loro protettori, ma anche da chiunque gli offra dei servizi, come gli affituari. Questi soggetti sono infatti accusabili di favoreggiamento alla prostituzione e, quindi, come sorta di indennizzo, le obbligano a pagare affitti triplicati. Oltretutto, una gran parte delle lavoratrici sessuali in Italia sono immigrate senza permesso di soggiorno. E, ovviamente, per loro la situazione è ancora più difficile”.