Processo trattativa Stato-mafia, la Cassazione assolve Mori, Subranni, De Donno e Dell’Utri
Sono stati assolti in via definitiva "per non aver commesso il fatto" gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno nell'ambito del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Assoluzione definitiva anche per l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri. A deciderlo la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che intorno alle 17:30 di oggi nell'aula Giallombardo ha letto il dispositivo della sentenza. I giudici di legittimità hanno annullato senza rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Palermo il 23 settembre 2021.
I giudici della sesta sezione della Cassazione hanno inoltre dichiarato la prescrizione per il boss di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella, condannato dai giudici di Appello di Palermo a 27 anni e per il medico Antonino Cinà, ritenuto vicino a Totò Riina, a cui in secondo grado furono inflitti 12 anni di reclusione nell'ambito del procedimento sulla presunta trattativa stato-Mafia. I giudici hanno infatti riqualificato i reati di violenza e minaccia ad un corpo politico dello Stato nella forma del tentativo. Con la riqualificazione la fattispecie è andata in prescrizione.
Il generale Mori: "Sono parzialmente soddisfatto"
"Sono parzialmente soddisfatto considerando che per 20 anni mi hanno tenuto sotto processo. Ero convinto di non avere fatto nulla, il mio mestiere lo conosco, so che se avessi sbagliato me ne sarei accorto", ha commentato a caldo il generale ex Ros Mario Mori.
La famiglia di Borsellino: "Ora concentrarsi sul nido di vipere"
"Adesso è arrivato il momento di concentrarsi sul ‘nido di vipere' di cui parlava Paolo Borsellino… Si sono persi tanti anni preziosi. Ora, finalmente, c'è spazio per la verità storica". A dirlo all'Adnkronos è l'avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice e marito della figlia, commentando la sentenza della Corte di Cassazione che ha definitivamente assolti i generali Mori, De Donno e il senatore Marcello Dell'Utri. Un mese prima di morire Paolo Borsellino "appariva come trasfigurato, senza più sorrisi. Era provato, appesantito, piegato", aveva detto in aula il magistrato Massimo Russo, che collaborava con il giudice. Da poche settimane la mafia aveva ucciso il suo amico Giovanni Falcone nel massacro di Capaci, e lui continuava a lavorare nel suo ufficio di procuratore aggiunto a Palermo, che tuttavia considerava "un nido di vipere". Da qui la frase del legale di famiglia. "Hanno tentato in tanti modi a spiegare l'accelerazione della strage di via D'Amelio, pur di non guardare altrove – dice Trizzino – Si sono persi tanti anni. È giunto il momento di capire perché non si volle guardare a quello che Borsellino voleva fare e alle terribili difficoltà che incontrò dentro la Procura di Palermo. C'è spazio per una verità storica e per l'accertamento di eventuali recenti depistaggi sul tema del difficile periodo di Borsellino in quella procura retta da Pietro Giammanco".
"In tutti questi anni – ha aggiunto l'avvocato – si è sempre cercato di spiegare l'anomala accelerazione della esecuzione della strage di via D'Amelio facendo voli pindarici, prima inserendo Bruno Contrada sul luogo della strage, ora prospettando in qualche modo che Paolo Borsellino avesse saputo di questa trattativa e che si era messo di mezzo ostacolandola. Sono tutti tentativi, in qualche modo, per non guardare a ciò che stava facendo e a ciò di cui si stava occupando e quello che stava accadendo all'interno della Procura".
Il Processo sulla trattativa Stato-mafia
I giudici della sesta sezione penale della Corte di Cassazione si sono espressi sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. L’accusa rivolta agli ex ufficiali dei Ros era quella di aver trasmesso alle Istituzioni la minaccia della mafia che, in cambio di un alleggerimento delle condizioni carcerarie, avrebbe fermato le stragi che nel 1992 e 1993 insanguinarono l’Italia.
All’esame della Cassazione in particolare c'era la sentenza di 2.791 pagine emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo che, il 23 settembre 2021, aveva ribaltato la decisione di primo grado assolvendo "per non aver commesso il fatto" l’ex senatore Dell’Utri e "perché il fatto non costituisce reato" gli ex generali del Ros dei Carabinieri Mori e Subranni e l’allora capitano De Donno.
Rispetto al primo grado erano state confermate solo le condanne al boss corleonese Leoluca Bagarella (ridotta da 28 a 27 anni) e quella al medico Antonino Cinà: il medico di Totò Riina era stato condannato a 12 anni perché accusato di aver fatto da "postino" al papello, ovvero la lista delle richieste di Cosa Nostra allo Stato per far cessare le stragi.