Processo Saman Abbas, l’assistente sociale: “Mi raccontò del matrimonio e mi chiese di aiutarla”
"Il 9 novembre 2020 io ero in smart working e Saman mi contattò su Whatsapp per chiedermi aiuto. Iniziammo a parlare e venne fuori il discorso legato al matrimonio combinato in Pakistan. Aveva percepito che sarebbe partita di lì a poco". Comincia così la testimonianza di F. B., l'assistente sociale entrata più volte in contatto con Saman Abbas, che oggi ha parlato nell'aula della Corte di Assise di Reggio Emilia nel processo per l'omicidio della 18enne pakistana.
La testimonianza dell'assistente sociale
La donna ha raccontato che il 10 novembre 2020 organizzò un colloquio con Saman dopo aver saputo del matrimonio combinato: "Mi chiese anche di non contattarla al telefono ma solo in chat, perché non voleva farsi sentire dalla famiglia. Il giorno dopo venne infatti con la mamma, che feci poi uscire. Saman mi disse che i genitori l'avrebbero portata in Pakistan il 17 novembre per sposare un cugino molto più grande di lei, mi pare di 11 anni, ma che non lei voleva, mi disse ‘ti prego aiutami'".
Fu allora che la ragazza accettò di essere "messa in protezione": "Iniziai così coi colleghi a organizzare l'allontanamento che si verificò il 13 novembre. Saman venne portata a Bologna in una comunità educativa per minori. Quando andai a vedere come stesse in comunità, Saman sembrava un'altra persona, il giorno prima aveva i vestiti classici della loro cultura, in comunità capelli sciolti lunghi, maglietta nera, jeans: era vestita all'occidentale. Le avevamo chiesto se volesse praticare o seguire una particolare alimentazione ma mi guardò come a dire ‘anche no"'. Le sono stati tolti i telefoni per ragioni di sicurezza, ma lei voleva parlare con Saqib. Mi parlò della sua relazione con quel ragazzo il 10 novembre, all'indomani della richiesta di aiuto. Mi disse di averlo conosciuto sui social, che viveva a Frosinone, che per lei era una relazione molto significativa. Gli elementi di preoccupazione erano talmente elevati, perché potesse essere rintracciata dalla famiglia, che avevamo vietato a Saman di utilizzare il telefono in qualsiasi modalità. Per questo facevo da tramite tra i due ragazzi, per cercare di tenerla tranquilla", ha concluso la donna.
Il carabiniere: "Saqib spaventato dal papà di Saman"
Oggi è stato sentito come testimone anche V. P., il luogotenente dei carabinieri di Frosinone da poco in congedo, il quale ha raccontato che il fidanzato di Saman, Saqib, conosciuto dalla 18enne sui social, era "spaventato, in una condizione di fragilità per le continue minacce ricevute al telefono dal padre della ragazza".
Tre mesi dopo averlo visto per la prima volta, "il 12 maggio – ricorda il carabiniere – ha presentato denuncia nei confronti del padre di Saman per le minacce ricevute da lui tramite telefono. Sono state acquisite in quell'occasione foto, video e screenshot. Lui aveva già presentato un'altra denuncia al commissariato di Sora. E intanto continuava a venire da noi, quando mi vedeva chiedeva se ci fossero notizie fino a quando, il 7 giugno, è stato risentito dai carabinieri del reparto operativo di Reggio Emilia e Guastalla: è lì che ha detto di avere il telefono di Saman. Non era stato del tutto sincero, continuava a dire cose spezzettate, incalzato affinché dicesse la verità aveva crisi di pianto, si accasciava sulla sedia. Era reticente, cercava sempre di sviare". ‘
E poi ancora: "L'ho poi risentito io il 10 giugno, perché avevamo saputo della fuoriuscita di notizie sui media, qualcuno era riuscito a procurarsi il suo numero e, spacciandosi per carabiniere – ha detto ancora il testimone – era riuscito a farsi raccontare l'intera storia, contribuendo così a far divulgare le notizie. Da allora lo abbiamo trovato dimagrito, non mangiava, stava sempre a letto, in una situazione psicologica di fragilità. Qualche giorno dopo, il 14, l'amico interprete mi ha chiamato, dicendo di essere preoccupato perché Saqib non gli rispondeva e temeva per lui. Siamo andati a casa, nella cooperativa, e lo abbiamo trovato che stava male, abbiamo chiamato il 118 che lo ha poi portato a Cassino dove è rimasto ricoverato per una decina di giorni. Il 17 giugno mi ha fatto chiamare durante la degenza, mi ha chiesto un avvocato, continuava a dire che riceveva queste telefonate, gli abbiamo sequestrato i telefoni. Il 17 luglio ha ripresentato querela contro il padre di Saman – ha concluso – da lì non ho avuto più sue notizie fino a quando questa estate è venuto a trovarmi, stava meglio, aveva un lavoro ma continuava a temere le minacce dal padre di Saman".
I giudici separano di nuovo posizione di Shabbar
Intanto, la posizione di Shabbar Abbas, il padre di Saman è stata di nuovo separata da quella degli altri quattro imputati nel processo in corso a Reggio Emilia. Lo ha comunicato la presidente della Corte d'Assise Cristina Beretti dopo che nell'udienza scorsa la sua posizione era stata riunita a quella di Danish Hasnain, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, zio e cugini di Saman, e della madre della ragazza Nazia Shaheen, che è l'unica latitante.
Martedì scorso nell'udienza di estradizione che si è svolta in Pakistan l'uomo non si è presentato e nemmeno ha chiesto di partecipare all'udienza di oggi nonostante l'avvocato Simone Servillo avesse assicurato la sua volontà di essere parte del processo.