Dopo il clamore suscitato dall’emendamento sui fondi al Pnrr che apre le porte dei consultori pubblici ai gruppi antiabortisti, l’aborto è scomparso dal dibattito pubblico. È sempre così in Italia, dove di questo argomento si parla poco e spesso male, anche a causa della cronica mancanza di dati che diano un quadro reale e completo della situazione: la relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 194 viene presentata ogni anno con notevole ritardo, contenendo informazioni vecchie di due anni e che comunque sono poco utili a spiegare cosa succede davvero negli ospedali e nei consultori italiani.
Resta solo la voce delle donne che vogliono interrompere una gravidanza per restituire la verità, fatta spesso di un calvario burocratico e sanitario tra intimidazioni, strategie manipolatorie e informazioni scorrette. Il nuovo report di Medici del Mondo “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza” e la campagna The Unheard Voice cercano di mostrare la realtà che sfugge ai dati istituzionali ma con cui le oltre 60mila donne l’anno che interrompono una gravidanza si trovano a fare i conti.
La legge 194, approvata nel 1978 e confermata con un referendum abrogativo nel 1981, è considerata una legge intoccabile nel nostro Paese, tanto che anche i politici più conservatori si guardano bene dall’ipotesi di modificarla. Ma purtroppo la legge non è sufficiente a garantire il pieno accesso all’aborto libero e sicuro, anche perché negli anni sono state approvate diverse iniziative a livello locale e nazionale che in un modo o nell’altro ostacolano la pratica pur senza violare la legge. Tra le più recenti, oltre all’emendamento sugli antiabortisti nei consultori, va ricordato il “Fondo vita nascente” della regione Piemonte (finanziato con oltre un milione di euro) o la “Stanza per l’ascolto” gestita da attivisti anti-scelta all’ospedale Sant’Anna di Torino.
La storia di queste politiche di deterrenza comincia molto prima del governo Meloni, che le ha soltanto appoggiate e le legittimate. Senza contare che molti professionisti della sanità applicano in modo del tutto arbitrarie iniziative di questo tipo, come l’obbligo di sottoporre la donna a un’ecografia per ascoltare il battito del feto, senza che ci sia bisogno di una legge apposita (che è comunque stata depositata in Cassazione come legge di iniziativa popolare).
“Durante la visita [all’ospedale di Civita Castellana], sono forzata ad ascoltare il battito cardiaco per tutta la durata”, racconta una delle testimonianze riportate nel report. “Mi forzano ad incontrare una ‘psicologa’ che per tutto il tempo mi chiederà se sono sicura. Fanno passare un altro mese, perché a detta loro devo pensarci bene. Un mese atroce di pianti. Arriva gennaio e il giorno della procedura. Sei donne in una stanza su un lettino. Mi portano sotto, solo un infermiere mostra compassione per il mio terrore dell’anestesia, mi tiene la mano. Al risveglio dolori atroci, chiedo antidolorifici ma rifiutano, la dottoressa dice che ‘bisogna soffrire’ in quanto donne. Il fidanzato andò in farmacia e tornò con antidolorifici da banco. Ricordo i commenti delle infermiere e di questa ginecologa, sempre offensivi: ‘Potevi pensarci prima’, ‘Queste ragazzine sempre con le gambe aperte’, eccetera”.
Le conseguenze psicologiche di questi ostacoli possono essere devastanti, spiega Medici del mondo, che già lo scorso anno aveva lanciato la campagna The Impossible Pill per illustrare le difficoltà di accesso all’aborto farmacologico in Italia. Molto spesso queste tecniche di dissuasione sono giustificate come una forma di applicazione rigorosa della legge 194, che raccomanda ai medici di aiutare a “superare le cause dell’aborto” ove possibile. Ma sottoporre le donne a pratiche ingannevoli (l’ecografia, ad esempio, viene spesso presentata come un obbligo quando non lo è; i colloqui con i volontari antiabortisti sono proposti come aiuto psicologico), negare antidolorifici, usare termini denigratori, minacciare gravi conseguenze negative sulla salute o promettere soldi in cambio della rinuncia all’aborto serve davvero a qualcosa, se non a manipolare le donne in un momento di particolare vulnerabilità?
Guardando i report annuali sull’applicazione della 194, niente di tutto questo traspare, e l’accesso all’aborto sembra garantito. Anzi, visto che il tasso di abortività è in costante diminuzione, magari si crede anche che il nostro Paese sia sulla strada giusta. Ma la verità è che tutte queste pratiche, spiega la direttrice di Medici del mondo Elisa Visconti, ci mostrano quanto “siamo lontani dalle raccomandazioni dell’Oms e da quanto previsto dalla nostra Costituzione in merito al diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dai Livelli Essenziali di Assistenza. E ciò a causa di una chiara volontà politica che può avere conseguenze sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire”.