“Presi a pugni e calci, noi medici soli tra mille difficoltà”: parla uno dei pediatri aggrediti a Catania
È tornato al lavoro in ospedale Piero Pavone, 53 anni, il pediatra che venerdì 3 gennaio è stato aggredito al Policlinico di Catania insieme al collega Pierluigi Smilari da uno sconosciuto che si è poi dato alla fuga. I due sono stati colpiti con schiaffi, pugni e calci.
"Ho vissuto un’esperienza che non auguro a nessuno, tanto da aver pensato di prendermi un anno sabbatico. Ma sono stato davvero travolto dalla solidarietà di tanti, specie dei miei studenti. È stata davvero un'inattesa ondata di affetto, che mi ha dato la forza di rimettere il camice e tornare in reparto, nonostante sia ancora in malattia", ha raccontato Pavone al Corriere della Sera.
"Ero davanti all’ingresso del reparto, dentro l’ospedale, quando ho visto il collega discutere con un ragazzo che avevo già notato e che mi aveva apostrofato in malo modo perché l’avevo guardato. A un tratto il giovane ha cominciato a picchiare il collega dandogli dei pugni in faccia e quando era a terra l’ha colpito a calci", ricorda ancora il professionista.
"Sono corso ad aiutarlo e sono stato investito da schiaffi in viso e calci nella schiena. Mi sono rialzato e sono corso verso il padre della paziente urlandogli e lui l’ha fatto smettere. Intorno c’erano persone terrorizzate, bambini che piangevano. Il collega era una maschera di sangue: ha commozioni cerebrali e un trauma facciale".
Nella lunga intervista il pediatra ha espresso tutto il suo sconforto per le aggressioni ai danni dei medici che in tutta Italia si stanno facendo sempre più frequenti. "Veniamo additati come nemici. Non c’è nessun rispetto verso la nostra categoria. Lavoriamo tra enormi difficoltà e ce la mettiamo tutta, ma non siamo per nulla tutelati".
"Anni fa il padre di un paziente mi ha puntato contro una pistola. – ricorda ancora il 53enne – Un attimo prima c’erano le guardie giurate e decine di persone, a un tratto erano spariti tutti. Lo stesso è accaduto questa volta. Mi viene da pensare che non sia stato un caso. Penso che ci fosse la percezione di quel che stava per accadere e che siamo stati lasciati soli".
Secondo Pavone, è evidente che ci sia qualcosa che non funziona nel sistema: "Io sono il primo a dire che la sanità arranca e che a volte le persone si scontrano con lunghe attese o disservizi, ma noi diamo l’anima e spesso siamo i primi a subire le conseguenze delle inefficienze del sistema".
Questa situazione porta i professionisti a lavorare "con una perenne sensazione di insicurezza", osserva ancora una delle due vittime dell'aggressione. "Non a caso, c’è la corsa al privato. Ho passato 11 anni al pronto soccorso pediatrico e davvero, alla fine, parlare di burnout non è un’esagerazione. Poi si continua per amore della professione, ma tra le denunce continue e le aggressioni è dura".
"La verità è che manca l’umanità, la comprensione delle nostre difficoltà, perciò assistiamo a reazioni del genere. – spiega con rammarico il 53enne – E poi c’è il problema della pena: perché se passa il messaggio che se prendo a pugni un medico me la cavo con poco, la violenza certo non si arresterà".
"Mi sento insicuro. È come quando si subisce una rapina in casa. Non si è più tranquilli. Si perde la fiducia. Ho sempre sognato di finire sui giornali per qualche scoperta scientifica e ora mi ritrovo intervistato per aver subito un’aggressione. – conclude – Non era certo quel che avrei voluto".