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Prendevano in giro clienti su Whatsapp: commesse di Gucci licenziate e poi reintegrate dal giudice

Il Tribunale del lavoro di Venezia ha annullato i licenziamenti, in virtù dell’inviolabilità di una chat privata, che va equiparata alla corrispondenza. E quindi non può nemmeno essere usata per l’avvio di un procedimento disciplinare.
A cura di Biagio Chiariello
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La società che gestisce il marchio Gucci (Luxury Goods Italia Spa) li aveva licenziati in tronco: il direttore e 4 responsabili vendite del negozio veneziano di Calle Larga XXII Marzo, la via del lusso a San Marco a Venezia. La loro colpa? Postare nella chat dei colleghi di lavoro su Whatsapp dei video nei quali si prendeva in giro qualche cliente non proprio in forma. I fatti risalgono ad un anno fa, ma ora il Tribunale del lavoro di Venezia sta annullando quei licenziamenti, in virtù dell'inviolabilità di una chat privata, che va equiparata alla corrispondenza.

Una prima commessa era stata riassunta un mese fa, mentre in questi giorni è stata depositata una seconda sentenza che annulla il licenziamento di un'altra responsabile vendite. Peraltro una delle commesse, avrebbe avuto ricadute anche psico-fisiche a seguito della decisione.  Ma il giudice del lavoro Chiara Coppetta Calzavara ha accolto il suo ricorso e imposto alla Luxury Goods Italia Spa di riassumerla pagandole gli stipendi dal 2 marzo – data del licenziamento – a oggi. Inoltre ha avviato un nuovo procedimento in cui stimare i danni biologici subiti da lei.

Il giudice ha contestato alla società l’uso di una chat privata. La lettera del 16 febbraio scorso, con cui inizialmente una commessa era stata sospesa, si apriva infatti dicendo che “in questi giorni siamo venuti a conoscenza che Ella il giorno 23 luglio 2017 alle ore 14.49 ha postato un video nella chat…” I legali della commessa hanno evidenziato soprattutto l’uso del messaggio. “I messaggi scambiati in una chat privata, seppure contenenti commenti offensivi nei confronti della società datrice di lavoro, non costituiscono giusta causa di recesso – scrive il giudice citando una sentenza della Cassazione – poiché, essendo diretti unicamente agli iscritti, vanno considerati corrispondenza privata, chiusa e inviolabile”. E quindi non può nemmeno essere usata per l’avvio di un procedimento disciplinare.

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