Riceviamo e pubblichiamo la storia di un nostro lettore.
"Gentile redazione, mi chiamo Matteo e sono un precario della scuola. Nello specifico, insegno storia dell'arte alle superiori, a Torino. Mi rivolgo a voi dopo essermi già rivolto – senza successo e soprattutto senza risposta – ai vari sindacati scuola. Ho iniziato una supplenza breve a settembre e, fino a dicembre, dunque per tre mesi, non ho percepito un solo euro di stipendio. Non è la prima volta che succede.
Recentemente ho scoperto che nella mia stessa situazione si trovano migliaia di docenti, che magari sarebbero ben disposti a manifestare ma manca un organismo capace di catalizzare tutte queste situazioni di forte disagio – economico e quindi sociale – per dare loro una voce univoca e organizzare una protesta. La protesta dovrebbe poi essere indirizzata verso l'ente che non trova i fondi per pagare gli stipendi dei supplenti, il Ministero dell'Economia e delle Finanze.
A rendere tutto ancora più avvilente, é la risposta che, come un tormentone, mi sento dare da colleghi, vicari, presidi e personale amministrativo:è sempre stato così, è normale, ci siamo passati tutti. Se non ci fossero i miei genitori a darmi una mano con le spese, dovrei rinunciare ad incarichi del genere, dovrei rinunciare a fare punteggio, perciò dovrei rinunciare a fare carriera nell'insegnamento. Ma io questo lavoro lo amo, lo affronto con passione e spirito di abnegazione, e la scuola pubblica, che non è classista verso gli studenti, non dovrebbe esserlo nemmeno verso i docenti. Stiamo vivendo l'amarezza paradossale di chi, pur mettendosi a servizio dello stato – al fine di formare i cittadini di domani – vede la propria dignità calpestata proprio da quello stesso stato che, per contratto, è chiamato a rappresentare.
Uno stato che non predispone misure previdenziali verso quei dipendenti che non riesce a pagare, non dovrebbe privare questi ultimi del sussidio di disoccupazione appena firmano un contratto di lavoro".
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