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Opinioni

Povertà educativa, dove e come nascono le differenze fra Nord e Sud del Paese

Lo studio di Save The Children sulla povertà educativa in Italia mette in luce dati preoccupanti su abbandoni scolastici e “qualità” della formazione. E le differenze fra le regioni sono abissali…
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Qualche giorno fa Save The Children ha presentato il progetto "Illuminiamo il futuro", un piano per il miglioramento dell'offerta formativa e per il coinvolgimento dei minori in progetti di crescita culturale ed educativa. Nella stessa occasione è stato rilanciato il rapporto "La lampada di Aladino", che tra le altre cose mostra l'indice che misura la povertà educativa in Italia: un'analisi che, seppur schiacciata dai temi della campagna elettorale, merita maggiore considerazione proprio perché evidenzia "che Paese stiamo diventando" e quali sono le zone grigie nel percorso formativo di ogni cittadino (oltre che, evidentemente, le differenze "regionali").

Come raccontano i promotori dell'iniziativa, "l'indice è composto da 14 indicatori che riguardano sia l’offerta scolastica che la fruizione di altre opportunità culturali e formative" ed investe il complesso dei fattori che determinano "la mancanza, per tanti bambini, della concreta possibilità di apprendere e di sviluppare le proprie capacità e i propri talenti". I dati sono inquietanti: "Oggi ben il 17% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non consegue il diploma superiore e lascia prematuramente ogni percorso di formazione, un dato di gran lunga superiore alla media europea (12%) e ben lontano dal target del 10% fissato dall’Unione Europea per il 2020. Nella speciale classifica dei cosiddetti Early School Leavers l’Italia si piazza al quart’ultimo posto, seguita soltanto da Spagna, Portogallo e Malta".

Decisivo è ancora il fattore reddituale / sociale, dal momento che "soltanto il 9% dei giovani tra i 25 e i 34 anni con genitori che non hanno completato la scuola superiore ottiene un diploma universitario (media Ocse al 20%) e il 44% non completa la scuola secondaria superiore". Sono poi paradossali alcuni dati "accessori":

  • nel paese culla della cultura occidentale, che ancora oggi detiene il maggior numero di siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, più del 60% dei bambini tra i 6 e 17 anni non ha mai visitato un museo e ben il 74% non ha mai fatto visita ad un monumento o ad un sito archeologico durante l’anno
  • nel 2013 appena l’1,4% si è dedicato ad attività in campo ambientale, l’8,7% si è impegnato in ambito culturale e il 9,1% in attività di tipo socio assistenziale
  • sono più di 300 mila i bambini ed adolescenti nel nostro paese che nell’ultimo anno non sono mai andati al cinema, non hanno letto un libro, navigato su internet, usato il computer, praticato uno sport e attività fisica

L'indice di povertà educativa mette poi in evidenza le differenze su base regionale. In generale gioverebbe partire dal presupposto che vede il "35,3% dei bambini del Mezzogiorno vive in condizioni di povertà relativa – con percentuali sopra la media in Sicilia (42,6%) e Puglia (37,1%) – mentre il tasso di povertà relativa tra i minori diminuisce sensibilmente al Centro (13,7%), ed al Nord (10,7%)". I dati dunque sembrano indicare quasi un automatismo fra povertà relativa ed educativa:

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Nel dettaglio vale la pena di evidenziare alcuni aspetti peculiari. Se ci riferiamo al solo contesto scolastico (copertura dei nidi e servizi integrativi pubblici, classi a tempo pieno nella scuola primaria, classi a tempo pieno nella scuola secondaria di primo grado, istituzioni scolastiche principali con servizio mensa, scuole con certificato di agibilità/abitabilità, aule connesse ad internet, dispersione scolastica), il quadro è il seguente ed evidenzia ancora una volta le lacune delle strutture dell'Italia meridionale (con un pessimo risultato anche di Lazio e Veneto e con la significativa eccezione della Basilicata):

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Le conclusioni del rapporto rappresentano poi anche una traccia per il lavoro futuro, che deve necessariamente essere orientato al miglioramento delle condizioni di vita dei bambini e alla riduzione delle disuguaglianze proprio a partire dal complesso educativo. Dalla promozione di una politica di sistema contro la dispersione scolastica (nella considerazione del fatto che, come vi abbiamo raccontato, l'attuale modalità di intervento ha aspetti paradossali per quel che concerne la concentrazione delle risorse), passando per la formazione continua dei docenti, fino ad arrivare alla ristrutturazione complessiva del rapporto fra gli studenti e le scuole. Un rapporto che passa dall'ampliamento degli spazi di partecipazione e dalla ridefinizione delle modalità di coinvolgimento, ma anche dall'intervento diretto delle amministrazioni, con un piano per l'edilizia scolastica e per il rafforzamento delle politiche in materia di educazione. Senza dimenticare il varo di progetti di più ampio respiro, volti cioè al miglioramento delle condizioni economiche e "di integrazione" delle aree maggiormente in difficoltà. E serve muoversi in fretta, se si immagina un Paese maturo, che rispetti i propri figli e li guidi nel percorso di formazione.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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