Erano in molti a pensare che lo stop ai sondaggi avrebbe in qualche modo cambiato, dunque salvato, questa campagna elettorale per le politiche 2013. Invece, stiamo assistendo semplicemente ad una stanca ripetizione del modello classico, con dichiarazioni cui seguono repliche, smentite, attacchi e, ovviamente, con un'abbondanza inusitata di proclami, promesse e speranze. Un canovaccio comune alla totalità dei partiti e dei movimenti in corsa per un seggio al Parlamento. E sostanzialmente comuni sembrano essere anche i modelli della comunicazione, centrati essenzialmente sui media tradizionali, con un'attenzione minima alla Rete ed ai social media (almeno per quanto concerne l'unidirezionalità dei messaggi). L'unica eccezione, in una campagna fatta di presenzialismo dei leader sui mezzi di comunicazione radio – televisivi, è rappresentata dalla scelta del Movimento 5 Stelle di "aggredire le piazze", replicando il modello sperimentato (con risultati eccellenti) durante le ultime elezioni regionali siciliane.
Una presenza nelle piazze e tra la gente che potrebbe essere il valore aggiunto della campagna del Movimento 5 Stelle. Anche se, ad onor del vero, sembra totalmente dipendente dalla figura di Beppe Grillo. Il capo politico è il leader carismatico, ma anche la personificazione stessa della proposta – protesta del Movimento: inutile in tal senso insistere nella retorica dell'uno vale uno. Non è differenza da poco, vale la pena ribadirlo. Perché se è vero che quello che una volta era un luogo simbolo per la politica, la piazza appunto, sembra diventato il principale terreno proprio della contestazione radicale alla politica, allo stesso tempo risulta operazione molto complessa riuscire ad accomunare presenza ed adesione (critica) alla piattaforma politico – ideologica del Movimento 5 Stelle. Quello di Grillo è e resta un enorme spettacolo: forse il risultato più compiuto ed efficace della trasformazione della politica, sempre più lontana da quel cerimoniale laico che era stato fino alla metà degli anni '90 e sempre più vicina ai crismi del format televisivo.
Lo ha capito Silvio Berlusconi, uno dei massimi "colpevoli" del cambiamento dei modelli e dei registri comunicativi della politica. Ma non solo. Perché il motto di spirito, lo slogan che diventa tormentone, la battuta più o meno riuscita, l'attenzione ai tempi ed al tono, l'esasperazione del carattere e la tendenza a mostrarsi sempre "social" sembra intenzione comune alla totalità dei candidati. Che sostanzialmente, più che parlare ai militanti ed agli elettori, vanno in scena per il pubblico e non rintracciano differenze sostanziali tra un salotto televisivo ed un auditorium, tra un microfono di una radio ed un taccuino di un cronista. I megafoni di un corteo o i microfoni delle piazze invece restano ancora lontani, forse perché meno controllabili, meno sicuri. Intendiamoci, non che sia necessariamente un male, almeno finché l'unidirezionalità del messaggio resterà carattere pressocché unico della comunicazione politica del Belpaese (caratteristica addirittura esasperata nei monologhi grillini). Ma al momento resta un "dato" politico. E l'aver abbandonato completamente le piazze (anche a livello simbolico la chiusura di Grillo a San Giovanni ha un valore enorme) potrebbe essere uno degli errori più clamorosi della politica "tradizionale" (del resto, il centrosinistra proverà almeno a chiudere la lunga campagna elettorale nei luoghi simbolo della politica…).