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Pisa, bimba uccisa a 3 anni dal patrigno. Condannata a 10 anni la mamma: non la salvò

La piccola morì nell’aprile del 2016 in una baracca di Calambrone (Pisa). Secondo il giudice, la mamma non si è opposta alla violenza del compagno.
A cura di Susanna Picone
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Il 27 aprile del 2016 una bambina di tre anni, la piccola Samantha, trovò la morte in una baracca di Calambrone, nella provincia di Pisa. A ucciderla di botte, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato il patrigno Tonino Krstic, un serbo di trentatré anni che dovrà rispondere di omicidio. Intanto, è arrivata la sentenza per la mamma della bambina. Si tratta di Francisca Juana de Olmo, una dominicana di trentaquattro anni che è stata condannata a dieci anni con rito abbreviato dal tribunale di Pisa. Il pubblico ministero Giancarlo Dominijanni aveva chiesto una condanna meno pesante, a otto anni di reclusione. Secondo il giudice, la mamma di Samantha è colpevole di non essersi opposta alla violenza omicida del compagno e aveva l'obbligo, anche giuridico oltre che di madre, di difendere la figlioletta. La donna si era separata dal marito e padre della piccola, un uomo originario di Rapallo (Genova), e si era legata al serbo che attualmente è in carcere.

Sul corpo nudo la piccola aveva segni di cinghiate – Fu la mamma – all’epoca incinta di un figlio di Krstic – la sera del 27 aprile dello scorso anno a chiamare il 118 affermando inizialmente che la piccola era vittima di un malore. I sanitari intervenuti sul posto non potettero far altro che constatare il decesso della bambina, il cui corpo nudo era disteso sul pavimento di un appartamento ricavato da un esercizio commerciale dismesso, privo anche di allacciamento alla corrente elettrica. Krstic, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbe sottoposto quotidianamente la piccola a ogni tipo di tortura – sul corpo della piccola furono trovati tumefazioni ed ecchimosi provocati probabilmente anche da cinghiate – mentre sua madre sarebbe rimasta in silenzio e non avrebbe fatto nulla per salvarle la vita. La donna si era descritta tra le lacrime agli inquirenti come succube di quel compagno violento.

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