Ho cominciato a scrivere questo pezzo mentre Milano veniva frustata da un vento violentissimo, con raffiche che sfioravano quota 100 km/h. Quando sono uscito in strada, nel pomeriggio, dopo che la buriana si era placata, ho visto tegole sfracellate sull’asfalto, alberi abbattuti, ho scoperto che un asilo nido era stato evacuato a Segrate, che diverse persone erano rimaste ferite per strada, e che il vento aveva addirittura scoperchiato parte della Stazione Centrale. Lunedì 7 febbraio è stato rubricato da molti come un giorno eccezionale, uno di quelli a cui dedichiamo uno spazio nella memoria per raccontarlo negli anni a venire; ma con ogni probabilità, con il passare del tempo, venti come quelli di questa settimana saranno sempre meno rari. Una delle poche cose che sappiamo per certo, infatti, è che con la crisi climatica non cambieranno solo le temperature ma anche la frequenza e l’intensità dei fenomeni metereologici: già oggi, gli 1,2 gradi al di sopra dei livelli pre-industriali stanno causando più eventi estremi che in passato; e il trend è destinato a crescere.
La velocità del vento sta aumentando
Negli ultimi vent’anni, la quantità di energia eolica prodotta nel mondo ha subito un’impennata impressionante, passando dai 38 TWh del 2001 agli attuali 1600 TWh, e questo non solo perché abbiamo centuplicato il numero di pale eoliche, ma anche perché la quantità di energia eolica in circolo è cambiata. A quanto pare, infatti, nel mondo soffiano venti sempre più forti: uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Shenzen ha rivelato che tra il 2010 e il 2019 la velocità media dei venti globali è passata da 11,2 km/h a 11,9 km/h, un aumento del 6% che, se questa tendenza proseguisse inalterata, consentirebbe di aumentare del 37% la produzione di energia eolica di qui ai prossimi cinque anni.
È un dato abbastanza inatteso, anche perché tra gli anni ‘80 e il 2010 la velocità dei venti era diminuita costantemente, tanto da portare qualcuno a intravedere un processo di “acquietamento globale”. Le ragioni di questo rallentamento non sono ancora chiare, ma si pensa abbiano a che fare con la progressiva urbanizzazione delle terre emerse. Ora questo trend sembra essersi invertito, il che peraltro potrebbe contribuire ad aggravare alcune ricadute della crisi climatica, come ad esempio la portata degli incendi boschivi e degli episodi di siccità. E sebbene ancora non ci siano dati a sufficienza per stabilire in che modo il riscaldamento globale stia influendo sulla velocità e la direzione dei venti, quello che sappiamo è che l’aumento delle temperature sta già incidendo sull’intensità e la frequenza di tornado e uragani.
Piove sempre di più, ma sempre sul bagnato
Lo scorso ottobre, la provincia di Catania è stata flagellata da un nubifragio senza precedenti, che ha portato nel giro di 72 ore a riversarsi sulla città capoluogo quasi 270 millimetri di pioggia; praticamente un terzo di quella che di solito precipita nell’arco di un solo anno. Gli effetti sono stati devastanti: strade trasformate in fiumi, piazze allagate, alberi sradicati e auto trasportate dalla corrente. Solo pochi mesi prima, una devastazione simile si era osservata in Germania e in Belgio, quando alcune zone della Renania Settentrionale-Vestfalia erano state coperte da 148 litri di pioggia per metro quadro nel giro di 48 ore (solitamente si contano 80 litri in tutto il mese di luglio). Si è parlato di dissesto idrogeologico, ed è innegabile che a rendere devastanti questi fenomeni sia intervenuta l’imponente cementificazione che rende queste zone meno permeabili all’acqua, ciò non toglie che se questo dissesto esiste da decenni, alluvioni così diffuse e distruttive sono un fatto recente.
L’abbiamo detto più volte: è difficile stabilire con certezza quali siano e saranno le ricadute del riscaldamento globale, ma una cosa che sappiamo bene è che l’aumento delle temperature sta già oggi comportando un cambiamento nei pattern di precipitazione. Il perché è abbastanza semplice: un aumento della temperatura media determina una maggiore evaporazione di acqua dagli oceani e dalla superficie terrestre, processo che a sua volta va ad aumentare la quantità e l’intensità delle piogge. Attenzione, però: questo non significa che semplicemente piove e pioverà sempre di più; poiché il cambiamento climatico incide anche sulle correnti a getto e su altri parametri climatici, è più probabile che le precipitazioni saranno sempre meno prevedibili, e i fenomeni intensi sempre più erratici. È quindi probabile che avremo piogge sempre più intense, circoscritte in periodi sempre più brevi.
Non solo, dato che l’aumento di temperatura rende più facile la formazione di uragani, e consente all’aria di trattenere maggiore umidità (il 7% in più per ogni grado in più, circa), si pensa che il numero e la violenza degli uragani sia anch’esso destinato ad aumentare.
Dove piove poco pioverà sempre meno
Mentre mi accingo a chiudere questo pezzo, a Milano il vento ha smesso di soffiare, in compenso la città aspetta di veder cadere le prime gocce dopo più di 60 giorni senza pioggia. Gennaio 2022 è stato uno dei mesi più asciutti nella storia del nostro paese, si calcola infatti che sia caduto il 56% in meno della pioggia che solitamente si registra in questo periodo. La situazione è particolarmente preoccupante nel Nord-Ovest del paese (dove la percentuale sale al 76%), e in Sardegna (al 72%). Meno piogge e nevi significa terreni più secchi, il che combinato ai venti porta ad aumentare il rischio di incendi. Non solo, meno precipitazioni significa meno neve in montagna e meno acqua nei laghi e nei fiumi: e infatti il Po è praticamente al livello che raggiunge in estate; in alcuni punti il livello è addirittura di 6 metri inferiore alla norma.
Ora, viene spontaneo chiedersi: ma se temperature più alte portano a maggiori precipitazioni, cosa c’entra questo periodo di siccità con il cambiamento climatico? C’entra, perché come abbiamo detto con l’aumento delle temperature aumenta l’evaporazione, e non è detto che quell’acqua ritornerà da dove è arrivata; anzi, il più delle volte le precipitazioni tendono a concentrarsi nelle zone già tipicamente interessate dai temporali, andando ad aggravare la situazione in zone già siccitose. A questo si aggiunge il fatto che la scarsità di neve porta a una diminuzione del manto nevoso sulle montagne (una riserva idrica cruciale, per molti versi), e il fatto che il riscaldamento globale sta spostando le perturbazioni più vicino ai poli. La previsione è che nei prossimi anni gli eventi siccitosi saranno più intensi e frequenti, soprattutto nelle zone che già oggi lottano con la scarsità d’acqua.
Un quadro che non riusciamo a vedere per intero
Lo scorso 3 febbraio un report pubblicato dalla European Environment Agency ha rivelato che negli ultimi 40 anni gli eventi meteorologici estremi di cui abbiamo discusso hanno causato 500 miliardi di euro di perdite e 140.000 decessi in tutta Europa; i paesi più colpiti sono la Francia, la Germania e l’Italia. I danni economici sarebbero in massima parte imputabili ad alluvioni e inondazioni, mentre le morti alle sempre più frequenti ondate di calore.
È chiaro dunque che ci troviamo già in una situazione emergenziale, eppure non è così che ci viene raccontata. Molte testate giornalistiche e molti telegiornali continuano a utilizzare il termine “maltempo” e a parlare di eventi “eccezionali”; ma come abbiamo visto, con il previsto aumento delle temperature, la normalità su cui ci basiamo per distinguere ciò che è eccezionale ed episodico da ciò che non lo è sta venendo meno. Non è finita: oltre ad apparirci episodici, questi eventi ci appaiono scollegati, quando in realtà sono tutti elementi dello stesso quadro climatico; un quadro che non riusciamo a vedere per intero perché ci siamo in mezzo.
Quest’estate, poche settimane prima che la Germania venisse devastata da un’alluvione epocale, gli Stati Uniti settentrionali e il Canada sono stati assediati da una “cupola di calore” che ha fatto schizzare i termometri a 49,6 gradi centigradi (superando di due gradi i record storici per quelle regioni): interi quartieri sono andati in fiamme, centinaia di milioni di molluschi e crostacei sono stati letteralmente cotti nelle acque in cui vivevano. Per come siamo abituati a intendere il clima, le alluvioni in Europa e l’ondata di calore in Canada non sembrano avere nessun legame, in realtà è assai probabile che siano legate entrambe al rallentamento della corrente a getto, quel flusso d’aria canalizzato che attraversa il pianeta da Ovest a Est e la cui velocità dipende dalla differenza di temperatura tra equatore e polo nord. Il riscaldamento globale sta rallentando questa corrente, con il risultato che è sempre più probabile che dei fronti di alta o bassa pressione si soffermino in certe aree, rendendo più intensi e devastanti i fenomeni meteorologici connessi.
Insomma, il clima sta cambiando seguendo direzioni diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati, per adattarci a ciò non dobbiamo dunque soltanto prepararci a fronteggiare eventi più violenti e improvvisi, ma anche abbandonare l’idea normalità a cui ci siamo abituati. Oltre a velocizzare una transizione ecologica fondamentale se non vogliamo che questo trend diventi ingestibile.