Pietro Orlandi: “Vi racconto cosa c’è dietro la scomparsa di mia sorella Emanuela”
"Mia sorella aveva una sola colpa, quella di essere cittadina vaticana" è l'amara verità di Pietro Orlandi con la quale il fratello di Emanuela apre il documentario da lui scritto insieme a Raffaele Brunetti Piergiorgio Curzi sull'enigma della ragazza con la fascetta. L'ex impiegato dello Ior ed ex cittadino vaticano in lotta da 34 anni nella ricerca di sua sorella, racconta in prima persona la storia di quella che sembrava una semplice bravata adolescenziale e invece si è rivelata l'informe pezzo di un puzzle dalle dimensioni sconosciute. ‘Scomparsi', in onda da domenica 14 gennaio alle 21 su Crime – Investigation (in esclusiva su Sky al canale 118) è un progetto televisivo che si propone di ripercorrere i più famosi casi italiani partendo da quello della studentessa di flauto. Volto della trasmissione è Pietro, oggi canuto e abbronzato, un po' rockstar con quel cerchietto all'orecchio e gli occhi segnati da oltre un trentennio di laceranti dubbi.
Il documentario inizia da lì, dal Vaticano, dalle immagini video dell'archivio privato di casa Orlandi. La piccola Emanuela gioca coi fratellini, mamma Maria sorride alla telecamera, il sole scalda l'armonia di quella bella famiglia, prima che la notte cali per sempre sulle loro vite. Emanuela e Pietro sono i figli di Ercole Orlandi, messo pontificio e uomo di fiducia di papa Wojtyla, eletto al soglio da appena due anni. "La mia è una delle pochissime famiglie che viveva all’interno di quelle mura. Era come un piccolo paese e il Papa era come il sindaco di questo paese, ci sentivamo protetti" dice Pietro.
La parabola parte nel 1983 quando Emanuela, terza di quattro figli, ha quindici anni e studia musica alla scuola Ludovico Da Victoria, in piazza Sant'Apollinare, a Roma. Il 22 giugno di quell'anno, dopo una lezione di flauto traverso si ‘volatilizza' per sempre. Sedicenti sequestratori si fanno vivi con un ultimatum: la vita di Emanuela in cambio alla liberazione di Alì Agca l'uomo che sparò al Papà in piazza San Pietro. E pero, come è evidente, non sono in grado di dimostrare la sua esistenza in vita, anche se vorrebbero farlo facendo ascoltare una nastro registrata che dice: "Dovrei fare il terzo liceo st'altr'anno". La voce non è contraffatta, è quella di Emanuela, quella del sequestratore sì: il finto accento anglosassone gli guadagna il nome de ‘L'americano'. Segue un nastro, fatto pervenire all'Ansa, con la voce e i lamenti di una donna. "In alcuni punti mi sembra di riconoscere la voce di Emanuela" dice Pietro, ma anche quello è un documento controverso.
Sono le interviste agli attori di questo strano dramma, tra cui quella di Ilario Martella, giudice istruttore delle indagini Orlandi e di quelle sull'attentato a Giovanni Paolo II, a fornire a questa vicenda quello che le manca: un contesto. Paul Marcinunkus è alla guida dello Ior, la banca vaticana in affari con l'Ambrosiano di Roberto Calvi, ‘il banchiere di Dio'. L'avvento del papa polacco ha dato una randellata alla politica mondiale – "Il muro di Berlino inizia a cadere dalla elezione di Giovanni Paolo II"- dice il magistrato. Wojtyla è l'alfiere dell'anticomunismo inviso a tutto il blocco sovietico, tanto da finire nel mirino di Agca.
Fin qui tutto chiaro, ma che c'entra Emanuela? Niente, il concetto del documentario è proprio questo: Emanuela è stata rapita ‘in quanto' cittadina vaticana, una vittima a caso per un atto di forza, ché così chi deve capire, capisce. Infatti. Per la seconda volta nella storia del pontificato (la prima fu il sequestro Moro), un papa interviene da piazza San Pietro per mandare un messaggio ai sequestratori. Ha capito, lui, mentre noi siamo ancora a zero, di Emanuela non abbiamo capito nulla, ma non è detto che sia tardi. Da qualche parte in Vaticano, dietro una porta, secondo Pietro, ci sono le risposte.
Solo che bussare non basta più.