Piero Angela a Fanpage.it: “Occupiamoci di cambiamento climatico, sarà la prossima emergenza”
Parlando con Piero Angela la sensazione che si ha ogni volta è quella di intervistare la Storia. Non solo scienza e clima, ma in un'ora e mezzo abbiamo discusso di politica, economia, Draghi, centralità della scuola, controllo sociale e giornalismo oggi. Ha una capacità di passare da un periodo all'altro con voli pindarici propri di chi, la storia, la conosce bene. A 92 anni – non può ancora parlarne – ha sulla rampa di lancio un importante progetto sulla scuola in larga scala, di cui sentirete molto parlare a settembre, “perché è lì che si formano le menti”. In pochi però sanno che Angela – che, giovedì 3 giugno, sarà protagonista di uno speciale sul clima in onda su Raiuno, in prima serata – è, di fatto (Greta era molto lontana da noi), uno dei primi a richiamare l’attenzione sul tema, occupandosi di questo già cinquant'anni fa, quando uscì – era il 1972 – il rapporto Limiti della Crescita curato dal Mit di Boston. Allora era un mondo che andava allegramente avanti utilizzando energie e risorse come se il pianeta fosse una miniera infinita di cose: “Il Rapporto – spiega Angela a Fanpage.it – era stato commissionato da un gruppo di intellettuali e promosso da un italiano, Aurelio Peccei, manager che aveva guidato Olivetti, Fiat e altre grandi imprese. Riunì un gruppo di 100 intellettuali di tutto il mondo (scienziati, filosofi, economisti, manager) che chiamò Club di Roma, attivo tuttora. All’epoca si sapevano già molte delle cose note oggi ma proprio non interessava. L’eco in tutto il mondo era solo a livello di persone consapevoli. Cultura e politica sono state assenti per tanto tempo”.
Negli ultimi anni invece c’è più consapevolezza. Covid-19 poi, ha mostrato a tutti noi quanto il re sia nudo e quale sia stata la magnitudo del cambiamento. E’ tardi?
Quello che è stato importante è il cambio di filosofia dello sviluppo. Nel Rapporto citato vi era un concetto, al di là delle cifre: fu profetico perché contribuì a un cambiamento di mentalità. Su questa base feci tre serie intere di documentari e due libri. A partire da quel momento mi impegnai molto sull’ambiente.
Stasera ne parlerà di nuovo in prima serata con Alberto nel suo Ulisse, su RaiUno.
Per me è un ritorno importante. Alla fine degli anni ’80 l’allora Banca S.Paolo, che aveva una sezione di attività culturali benefiche, mi chiese di creare un gruppo di scienziati per parlare di clima: personaggi di altissimo livello tra cui lo scienziato Edoardo Amaldi, stretto collaboratore di Fermi, Umberto Colombo, poi Ministro della Ricerca, un premio Nobel ecc. Organizzai grazie ai loro fondi un convegno mondiale a Torino, sull’atmosfera e sugli oceani, e feci due prime serate su RaiUno in diretta dal Palazzetto dello Sport, con 8.000 persone e collegamenti, esperimenti, filmati.
Fondamentale per tutti, soprattutto per i giovani, che la rete pubblica ammiraglia punti ancora sulla cultura. La puntata di stasera quale messaggio darà ai ragazzi?
Che devono prepararsi al futuro. Stasera, con un linguaggio semplice e rivolto a tutti, l'obiettivo sarà quello di far capire lo stato di emergenza nel quale ci troviamo. Ricostruiremo i pezzi. Negli ultimi tre anni al Politecnico di Torino abbiamo realizzato una serie di conferenze – grazie a Francesco Profumo, già rettore della stessa università ed ex Ministro dell’Istruzione – per i migliori 400 studenti del Politecnico e delle scuole superiori di Torino, con i maggiori esperti delle materie ambientali (disponibili on-demand n.d.r.). I giovani devono sapere che la nostra generazione ha creato i guai e loro se li ritrovano. È necessario abbiano comportamenti virtuosi per farvi fronte.
E che anche gli altri lo siano, virtuosi.
Infatti. Gli inquinamenti locali si possono affrontare con i singoli comportamenti. Ma l’atmosfera gira in tutto il mondo. È necessario che tutti riducano il consumo di carbone, petrolio, gas, degli effetti serra che possono produrre e del cambiamento climatico che potrebbe seguirne. E dare, per esempio, ai paesi che hanno meno attrezzature, tecniche di facile applicazione per ridurre i consumi di energia inquinante.
C’è un episodio che le ha fatto capire come non sia semplice risolvere questi problemi?
Seguii Peccei in varie conferenze internazionali tra cui in Algeria e a Salisburgo dove riuscì a riunire undici capi di governo e di stato per spiegare l’urgenza di questi problemi. Mi raccontò che uno di questi gli disse: sono d’accordo con quanto dice ma se lo applicassi nel mio paese sarei fuori dalla politica in tre mesi (ride, n.d.r.)
Perché sono misure impopolari? Stesso problema di oggi peraltro.
Per questo se uno è informato capisce che misure impopolari sono necessarie. L’informazione, spiegando alle persone i pericoli all’orizzonte, può aiutare.
Come con Covid-19?
Esattamente. Quando mai un politico avrebbe pensato di chiudere i ristoranti, le discoteche, le piscine, i negozi obbligando la gente a stare in casa e a rientrare per le dieci, creando quello che abbiamo visto?
Perché ha potuto farlo?
Perché la gente ha capito che questo era il modo per salvarsi e ha accettato queste misure impopolari. Solo che il Covid ha il vaccino e sperabilmente sta pian piano andandosene. Certo, dovremo sempre stare molto attenti perché sono virus micidiali che possono riguadagnare terreno ad ogni momento se non si prendono le misure giuste, specialmente in questa fase di transizione.
Stando agli esperti siamo in procinto di vivere un’esplosione della crescita, cui si accompagnerà probabilmente un boom altrettanto imponente di emissioni, come in passato. Occorrerebbe forse non solo sottrarre emissioni dall'atmosfera ma incidere sulle cause che le determinano. Si sta agendo in modo concreto o sono solo annunci?
Occorre che la ricerca sviluppi tecnologie che permettano due cose importantissime: il risparmio energetico – materiali che rendano più efficiente il consumo di energia – e tecnologie innovative che concorrano a produrre energia in modo più pulito. Per questo servono fondi, finora pochi e insufficienti per far fronte a questa sfida.
Un esempio?
Le tecnologie per aumentare la resa del solare ci sono, occorre ci siano persone che sviluppino idee e le realizzino, insieme a industrie e politiche che le diffondano. Le nuove tecnologie costano e dovrebbero essere incentivate dalla politica.
In A Cosa Serve la Politica, pubblicato in piena crisi finanziaria, lei scrive che serve una filosofia della tecnologia.
Non basta la filosofia della scienza. Quella della tecnologia è necessaria a capire limiti e potenzialità delle macchine. È un messaggio importante per i giovani: bisogna creare la filosofia della tecnologia per sapere come gestirla.
Cosa intende quando dice ai giovani: preparatevi al futuro?
Il futuro non esiste, non è scritto da nessuna parte. Lo prepariamo e lo decidiamo noi con i nostri comportamenti. I futuri possibili sono tanti e molti dipendono dal modo in cui ci comportiamo. Per comportarci in modo corretto ci dobbiamo informare.
Prima sapere le cose e poi aiutare quelli che possono agire a farlo.
E voglio dire a chi ci legge: cercate l’eccellenza. Avrete sempre una prospettiva vincente a livello personale e sociale, non solo a scuola ma nei lavori che farete. Non accontentatevi della sufficienza. Il paese ha bisogno di menti creative e di persone competenti.
Il Paese lo sa questo?
Il Presidente del Consiglio ha deciso di inserire nella Pubblica Amministrazione dei giovani particolarmente brillanti, che provengono dall’Università e dalla Ricerca e che hanno dimostrato di essere ragazzi in gamba. C’è bisogno di portare un vento nuovo nella burocrazia. Riforme, fondi e menti. Obama diceva: l’America è un grande Paese non perché ha un grande esercito ma perché ha grandi università.
Guardando ai quotidiani esteri sembra che all’improvviso, con la sola presenza di Draghi, la posizione dell’Italia nello scacchiere internazionale sia migliorata, o no?
La mia sensazione è che sia un governo che non cerca solo di rappresentare una parte, ma di fare gli interessi generali. La persona che ha formato questo governo ha una grande reputazione a livello internazionale. E un Paese viene molto giudicato attraverso i suoi leader, aiuta eccome per l’immagine. Inoltre Mario Draghi ha messo nelle posizioni chiave persone di qualità, che riflettono la sua visione e quella di Sergio Mattarella, artefice di questa trasformazione, che bada all’interesse del Paese in un momento difficile.
E in cui riceveremo molti fondi, che non siamo proprio mai stati bravi a spendere…
Perché occorre fare dei progetti e realizzarli nei tempi previsti. Oggi corriamo lo stesso rischio. Per questo sono importanti persone competenti che non abbiano come obiettivo rappresentare interessi di una categoria particolare ma – come dovrebbero essere sempre i Ministri che giurano nelle mani del Presidente della Repubblica – fare le cose per l’interesse del Paese.
Ci sarà un boom economico che non si vedeva dagli anni ‘30, come molti economisti prevedono?
Come quando si gioca a scacchi, tutti i pezzi devono essere messi bene, non solo Re e Regina. L’impresa è al centro ed è il motore trainante. Crea posti di lavoro, sviluppo e gettito fiscale con cui si possono fare le cose. Vedo due problemi: primo, riuscire a inserire le nuove tecnologie in un vecchio tessuto economico. Secondo, la semplificazione. Non è possibile che un’azienda per fare uno stabilimento impieghi anni di pratiche burocratiche. È successo anche a me.
In che senso?
Quando sono tornato in Italia dopo 13 anni all’estero avevo un’auto con targa belga e patente internazionale francese. Per avere la patente in Italia dovevo presentare un lunghissimo elenco di documenti. In quello stesso anno dovevo andare negli Usa e guidare un camper nel West e avevo bisogno di una patente americana. Ho presentato la mia patente francese al Consolato e la signorina mi ha dato in cambio una patente americana. Certo, se poi in America trasgredisci le regole, ti penti subito.
C’è anche un controllo sociale lontano da noi anni luce.
Questo è un punto interessante: non basta comportarsi bene, bisogna fare in modo che gli altri si comportino bene. Quando uno vede qualcosa che non funziona non deve dire: chi se ne importa. Quando Alberto aveva dieci anni era amico di un bimbo olandese la cui famiglia frequentavamo. Un giorno andammo a fare un picnic in una zona etrusca molto pittoresca dove scorreva anche un fiumiciattolo. Un signore pescava a fianco di un cartello che recitava: vietato pescare (ridiamo n.d.r.). Il bambino olandese di sua sponte andò dal signore e gli disse: guardi che qui non si può pescare. Controllo sociale alla nordica!
Dobbiamo essere ottimisti?
Non credo questo, ma certamente si stanno ponendo dei pezzi importanti nel gioco degli scacchi per migliorare la partita. Mi auguro sia un orizzonte nuovo quello che si apre ma sono un vecchietto e ho visto tante cose. Un Paese non può essere cambiato da un solo individuo. Anche se in realtà è successo, ma in senso negativo!
Se dovessimo provare a fare un bilancio del modo di comunicare di Draghi?
Non punta all’emotività e alla pancia ma all’intelligenza, alla mente, alla razionalità, che sono ben più difficili da raggiungere.
Alle prime – ora mi rivolgo al giornalista – punta spesso l’informazione.
Già. Ero un giovane cronista della radio e nel corso della riunione della mattina a Torino un collega radiocronista disse che a Genova, in piena ricostruzione negli anni ’50, ci sarebbe stato un varo. Il capo redattore da Roma tuonò: “Sandro te l’ho già detto, il varo interessa solo se va male”.
Il giornalismo oggi, nulla è cambiato!
L’emotività nella notizia è sempre necessaria, basta vedere i titoli dei telegiornali: disgrazie, accoltellamenti, allagamenti. Per far parlare di sé bisogna far cose strane, originali o truci.
Quanto hanno modificato il giornalismo il web e i social?
Se uno va sulla rete può fare ciò che vuole. È il motivo per cui i giornali stanno perdendo molto pubblico. Il web si basa su emotività e rapidità. Lo vedo nel mio telefonino, le notizie spesso sono brevi e possibilmente con immagini.
Come le definisce?
Un’informazione fumetto, che poco arricchisce. L’informazione in passato è stata formativa. Non oggi. Per questo la divulgazione scientifica è così importante, nei giornali e in tv.
Concordo. Darebbe a me oggi il consiglio che si è dato lei quando è diventato giornalista?
Ho cominciato a fare questo mestiere e continuerò a farlo perché mi piace, mi diverte, mi appassiona.
E sempre senza referenti politici.
Il mio referente politico non è un capo partito. È il Presidente della Repubblica. È un’istituzione che deve fare l’interesse generale. Spesso viene ripresa la scritta all’ingresso della vecchia sede – dove andavo – del mitico New York Times: tutte le notizie che meritano di essere pubblicate. Ma nessuno cita il sottotitolo, ben più importante: senza l’intenzione di favorire o danneggiare qualcuno.
L’etica.
Esatto. Sono sempre stato colpito da questo tipo di approccio. Non si deve utilizzare uno strumento formidabile a servizio di qualcosa di personale. L’informazione vera, per fare grandi quotidiani indipendenti, serve l’etica professionale. È la cosa più importante, l’ho sempre seguita.
E a lettori e telespettatori arriva?
La gente lo capisce. C’è la fiducia, la cosa più importante, da parte di un pubblico che sente la presenza di un’impostazione di un certo tipo.
Essere a servizio del pubblico.
Questa è la regola. Spesso invece c’è l’ideologia, che finisce per creare qualcosa di diverso da quello che deve essere la televisione. Servizio pubblico.
Sa qual è la frase che scrivono più spesso a fianco al suo nome sui social?
Quale?
Una delle ragioni per cui paghiamo volentieri il canone.
È bello questo però! Ho fatto pochissima carriera in televisione, il mio colpo di fortuna è stato fare il corrispondente dall’estero. Quella visibilità mi ha portato a condurre i tg e a fare i documentari. La vita è fatta di dedizione e rispetto per il pubblico. E questo paga molto più delle cariche.