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Piergiorgio Welby, la vita e la morte di un uomo libero

Il 20 dicembre del 2006 il respiratore di Piergiorgio Welby veniva staccato. Il suo grido disperato, Lasciatemi morire, non restò inascoltato ma provocò innumerevoli polemiche; in un paese in cui la libertà di scelta di ciascun singolo individuo è ancora un miraggio troppo lontano.
A cura di Nadia Vitali
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Il 20 dicembre del 2006 il respiratore di Piergiorgio Welby veniva staccato. Il suo grido disperato, Lasciatemi morire, non restò inascoltato ma provocò innumerevoli polemiche, in un paese in cui la libertà di scelta di ciascun singolo individuo è ancora un miraggio troppo lontano.

Purtroppo, per quanti non l'hanno conosciuto, Piergiorgio Welby verrà ricordato solo nelle dolorose immagini dei suoi ultimi anni, attaccato a quel respiratore che ne garantiva la sopravvivenza ma non la vita. Un medico gli aveva predetto, nel diagnosticargli una distrofia muscolare progressiva all'età di appena sedici anni, che non avrebbe superato i venti: era il 1963.

Che la diagnosi fosse stata imprecisa o che la forza di volontà e la sete di vita avessero avuto la meglio, quel che è certo è che Piergiorgio Welby non morì: viaggiò molto in Europa, appassionato alle sue letture, scrivendo e dipingendo; trovò sollievo nelle droghe nel corso degli anni '70 e '80 ma poi le sue condizioni si aggravarono e l'organismo dovette liberarsi di tutte le sostanze assunte: il metadone a cui fece ricorso per la disintossicazione incise gravemente sulla sua capacità di movimento, costringendolo alla sedia a rotelle. L'amore della sua Mina, conosciuta durante un viaggio a Roma, non lo ha lasciato mai: neanche durante quella crisi respiratoria che, nel 1997 lo costrinse ad essere attaccato ad un respiratore, dopo aver subito un intervento di tracheotomia. «Mina non è riuscita ad accettare di perdermi». 

“ Come è difficile vivere e morire in un paese dove il Governo fa i miracoli e la Conferenza episcopale "fa" le leggi ”
Piergiorgio Welby

Attivista anche da un reparto ospedaliero, uomo libero seppur incatenato al letto da un'esistenza non più voluta e cercata, la sua drammatica condizione divenne di pubblico interesse nel settembre 2006, quando Piergiorgio Welby reclamò ufficialmente il proprio diritto alla morte e scrisse una lettera aperta al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che si trattasse di eutanasia passiva o di cessare un accanimento terapeutico che umilia il concetto stesso di vita, l'Italia rispose dimostrando che l'argomento riguardava tutto il paese; sollecitando l'attenzione e sperando che sulla situazione potesse intervenire, in tempi rapidi,  lo stesso Governo affinché il grido disperato di quell'uomo sofferente, Lasciatemi Morire, titolo del suo libro, non restasse inascoltato.

Inevitabile fu il dibattito che seguì sulla questione del fine vita e della libertà di scelta e sui rapporti tra leggi e diritti individuali: problematiche delicate, forse destinate a rimanere prive di una soluzione e senza risposta, come tutti i grandi interrogativi che attraversano la storia dell'umanità. Ma nel frattempo, in una stanza d'ospedale, la situazione restava immutata, persa tra le polemiche ed i discorsi: «La morte poteva anche non essere una cosa tanto terribile. Bastava impedirle di distruggere, in poco tempo, tutta una vita».

E così, le ultime volontà di Piergiorgio Welby sono state eseguite, infine, il 20 dicembre del 2006 da un medico anestesista successivamente accusato di «omicidio del consenziente» e poi assolto nel 2007 perché «il fatto non costituisce reato». Si chiuse così la vicenda Welby, con l'augurio che il proscioglimento del medico potesse essere un primo passo verso il testamento biologico. Ma gli anni che sono seguiti hanno stroncato ogni speranza in merito.

Nel 2009 abbiamo seguito gli ultimi mesi di Eluana Englaro e, pochi mesi fa, la scelta di Lucio Magri di morire, ricorrendo al suicidio assistito in una clinica svizzera: eventi che hanno messo in luce come in Italia le controversie relative alle libertà individuali siano ben lungi dal trovare definitiva soluzione, attraverso una seria normativa che rispetti i voleri di tutti, senza togliere a nessuno la possibilità di esprimere la propria opinione ma dando a ciascuno il diritto ad essere libero di scegliere. Se qualcuno credeva che il «sacrificio» di Piergiorgio Welby sarebbe servito a cancellare per sempre le ipocrisie dal nostro paese, la storia recente ha dimostrato che il cammino è ancora molto lungo.

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