Picchiati dalla polizia croata e rispediti in Bosnia: le testimonianze di chi tenta il “Game”
I migranti li chiamano Ali Baba. "Ali Baba police Croazia". La polizia ladrona che ruba loro tutto quello che hanno, poi li picchia e li caccia. Tra Bosanska Bojina e Veliki Obljaj ci sono poche centinaia di metri di distanza. Da una parte è Bosnia Erzegovina, dall'altra è Croazia. Eppure a separare decine di migranti dall'obiettivo, l'Europa, c'è un ostacolo che sembra a volte insormontabile: il respingimento, spesso violento, da parte delle forze dell'ordine croate. Il tentativo di attraversare il confine si chiama, ormai da mesi, "the game": il gioco di varcare il confine attraverso le montagne e i boschi pieni di mine antiuomo della guerra dei Balcani e superarlo indenni, da provare e riprovare finché non vinci. È come la lotteria, solo che in palio c'è la richiesta di asilo in un Paese dell'Unione Europea: Germania, Francia, Belgio, Svezia. Anche Italia, a volte, se ci vivono parenti o amici emigrati molti anni fa.
Mohammed e Ismail, nomi di fantasia, hanno 17 e 16 anni, sono fratelli e vengono dall'Afghanistan. Portano entrambi sul corpo i segni delle violenze: Ismail mostra i pantaloni completamente ricoperti di sangue che aveva addosso quando, pochi giorni fa, ha tentato di entrare in Croazia ed è stato preso e picchiato da quelle che lui ha identificato come forze dell'ordine croate. Cinque contro uno, i manganelli gli hanno strappato i pantaloni e lasciato profonde ferite sulle cosce. Poi lo hanno trascinato al confine. Sotto alla crosta, c'è del pus che bagna i jeans puliti. "Sono rimasto per due ore svenuto, senza capire niente – racconta a Fanpage.it – Poi mio fratello è arrivato a prendermi. Ho dormito per un giorno intero in una casa abbandonata e poi sono arrivato qui". Suo fratello tenterà di nuovo il game a breve. Lui non andrà perché non riesce a camminare a lungo. Gli fanno male le costole, si affatica a stare in piedi.
Mohammed non ha ferite ma ha lividi. Lo hanno picchiato dietro alle ginocchia, poi gli hanno tolto le scarpe, il cellulare, i vestiti e in mezzo alla neve lo hanno rimandato in Bosnia. Mentre parliamo, la temperatura è sotto lo zero di due gradi e mezzo e lui indossa dei calzini e delle ciabatte sfondate. "Io ci riprovo", annuncia. L'obiettivo è andare prima a Zagabria, raggiungere la sua fidanzata, conosciuta durante i sei anni di viaggio che ha affrontato, poi andare in Germania. "Abbiamo una rete di cinque persone che ci tengono in contatto – spiegano – Il primo che ne incontra una manda il messaggio, ‘Fate sapere a mio fratello che sto bene'". È il telefono senza fili, perché il cellulare è finito nelle mani di chi in Croazia li ha respinti.
Save the Children stima che, come Ismail e Mohammed, siano almeno un'altra cinquantina i minori migranti non accompagnati che dormono all'addiaccio nei boschi vicini al confine. "Secondo i dati ufficiali – dicono dall'organizzazione non governativa – ci sono circa 500 minori non accompagnati in vari centri di accoglienza nel Paese, insieme a circa 450 bambini con le loro famiglie". Numeri ai quali si deve sommare chi resta fuori dal sistema di accoglienza per rimanere il più vicino possibile al confine con l'Unione Europea. E anche perché in alcuni campi bosniaci le condizioni di vita sono insostenibili. Quello di Lipa, nei pressi di Bihac, dopo l'incendio di dicembre è un posto in cui è difficile immaginare si possa sopravvivere a lungo. "Quando sarò riuscito ad avere il passaporto tedesco – sorride Mohammed – tornerò in Croazia. Così i poliziotti mi vedranno e stavolta non potranno farmi niente".