Giulia Cecchettin è la 105esima donna uccisa nel 2023. La 82esima in ambito familiare. Un dramma in seguito al quale la famiglia di Giulia, col papà Gino e la sorella Elena, hanno chiesto di “far nascere qualcosa perché non accada più”, di “fare rumore” e di denunciare, sempre.
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La lettera a Fanpage.it
Sono nata in una famiglia dove mio padre per una qualsiasi questione usava la cinghia e mia madre era strana, anafettiva, bugiarda, manipolatrice. Eravamo piccoli e quando lui ci picchiava diceva che era colpa nostra, la colpa di un bambino che cresce e magari fa una domanda in più. Con il tempo impari a essere invisibile per sopravvivere, impari che non devi provare niente perché non sei niente.
Da adulta ho provato qualche volta ad affrontare l’argomento, ma negavano tutto. Dell’infanzia ricordo molto poco ma le botte le ricordo bene, i silenzi carichi di tensione, lo sguardo duro.
Sono andata a vivere insieme col primo uomo che ho trovato, avevo sui 20 anni e nonostante gli anni infernali avevo un'idea dell'amore che potesse salvare l’anima. Ma non avevo le basi per saper scegliere l’amore, non sapevo cosa fosse. E così due briciole d'amore mi sembravano oro. Mi sono ritrovata con un uomo che mi ha tradita, umiliata e lasciata con un figlio piccolo, non sapendo dove sbattere la testa sono tornata dai miei genitori.
Ho lavorato tantissimo e con un po’ di soldi da parte dopo un paio di anni sono andata a vivere sola con mio figlio, che nel frattempo però cresceva tra le mie insicurezze e la totale assenza del padre.
Ho notato che aveva atteggiamenti strani, attacchi di rabbia, poca voglia di studiare. Cominciai a portarlo da uno psicologo, sembrava funzionare ma quando iniziò l’adolescenza cambiò totalmente. Iniziò a fare uso di sostanze e a bere. Mi sentivo talmente in colpa di tutto che ero annientata, ma non mollavo. Sono stati anni infernali.
Mi sfasciò la casa, bastava una parola detta in un modo che a lui non andava bene per scatenare il putiferio. Mi ha rubato i pochi soldi che avevamo per arrivare a fine mese, mi ha lanciato il cellulare fuori dalla finestra per evitare che chiamassi i carabinieri.
Avevo paura, la stessa ansia che avevo da bambina quando doveva tornare a casa mio padre e sapevo che mia madre gli avrebbe detto qualcosa per farlo scattare contro noi. Alla fine ho denunciato mio figlio e l'ho cacciato di casa. Quel giorno mi si è rotto il cuore, in cuore mio sapevo di avergli insegnato l'amore.
Gli ho sempre parlato sin da piccolo, l'ho sempre abbracciato e sempre detto "ti voglio bene”. Ho sperato che non dimenticasse il nostro rapporto e così è stato: siamo stati lontani per più di un anno, poi ci siamo riavvicinati. Abbiamo fatto un percorso familiare con uno psicologo che ci ha aiutato tanto. Siamo tornati ad essere una famiglia.
Ora vado da una psicologa, è uno spazio mio che dedico a me stessa e dopo varie sedute e la difficoltà iniziale ad ammettere che la mia famiglia non è quella che mentalmente avrei voluto mi sono sentita dire che "sono normale". Dopo anni in cui mia madre mi diceva che ero una ritardata e il padre di mio figlio che ero una malata di mente mi sembrava la frase più bella del mondo e ho pianto tantissimo.