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Piacenza, il polo logistico non s’è mai fermato: “Pochi controlli e boom di affari on-line”

Il via vai continuo di camion non si è mai interrotto completamente a Piacenza, una delle province più colpite dall’epidemia di Covid-19 e sede di uno dei più grandi poli della logistica in Italia. “Alcune aziende si sono comportate bene, altre no e abbiamo dovuto scioperare” spiegano dalla Filt-Cgil, aggiungendo: “Il codice Ateco del magazzinaggio era troppo generico e il settore driver è esploso, si lavora ai ritmi delle feste di Natale”
A cura di Beppe Facchini
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"Il polo logistico di Piacenza non si è mai fermato completamente. Ci sono aziende che si sono comportate bene e altre che invece non lo hanno fatto assolutamente, tanto che dove non si sono rispettate le normative abbiamo dovuto scioperare". Non solo. "Mentre i negozi erano chiusi e molti lavoratori erano a casa, abbiamo assistito ad una impennata dei volumi movimentati dalla logistica fuori da ogni buonsenso, agli stessi ritmi delle feste di Natale". Insomma: "Il settore driver è esploso". Basterebbero già queste parole di Karim Mansar e Floriano Zorzella, funzionario provinciale e segretario regionale della Filt-Cgil in Emilia-Romagna, per spiegare cosa sta accadendo e cosa è successo finora a Piacenza in tempi di lockdown. In uno dei territori maggiormente colpiti dall'epidemia di Covid-19 si trova infatti uno fra i più importanti snodi merceologici del Paese (e non solo), sparso fra il capoluogo e alcuni comuni come Fiorenzuola, Monticelli d'Onghina, Pontenure, San Nicolò e Castel San Giovanni, dove ha un sede un enorme magazzino Amazon con oltre mille dipendenti, con la chiusura totale delle attività che effettivamente non c'è mai stata. Anzi, la mole di lavoro in diversi casi è persino aumentata.

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Il codice Ateco 52, "magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti", è stato fin dal primo Dpcm inserito fra quelli che individuavano le attività essenziali che non avrebbero dovuto fermarsi nonostante le chiusure imposte da Roma, da dove è anche giunta l'indicazione che anche per le attività legate alle filiere essenziali avrebbero potuto continuare ad operare. Questo dettaglio, di conseguenza, ha fatto sì che qualunque aziende presente nel mercato online abbia potuto proseguire col suo lavoro. "Molti hanno giocato proprio su questo -conferma Mansar- perchè molte logistiche avevano sia la parte e-commerce che quella normale per i negozi". "Era sufficiente vendere online perchè i lavoratori venissero chiamati al loro posto -aggiunge invece Zorzella- in un momento in cui invece bisognava chiudere tutto, utilizzando gli ammortizzatori sociali, sanificare e poi ripartire". Qualcuno che ha scelto questa strada, autonomamente, c'è comunque stato. Ikea, che a Piacenza ha ben due depositi, è fra questi. E lo stesso vale per la ditta che ha appaltato il cantiere di Xpo, dedicato alla merce di Burberry. "Ma ci sono anche aziende dove tutto questo non è ancora avvenuto, esponendo i lavoratori ai dei rischi" fa però presenze Zorzella.

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Bartolini, Torello, SDA, DHL, TNT, Unieuro: l'elenco dei nomi noti presenti nel polo piacentino è decisamente lungo. E non sempre è stato facile per i sindacati, in questi mesi così particolare, riuscire a trovare con tutti dei punti di incontro, nonostante il grandissimo impegno messo in campo, per evitare che i lavoratori si trovassero in situazioni spiacevoli e pericolose per la propria salute. C'è stato chi si è attrezzato fin da subito con tendoni all'esterno del capannone per verificare le condizioni di salute dei dipendenti, adoperandosi anche con termoscanner, e chi ha negato fino all'ultimo i necessari dispositivi di protezione, nascondendo addirittura alcuni casi di contagio fra i lavoratori. "È l'esempio di un'azienda di San Nicolò che lavora materiale bancario -racconta Mansar-: abbiamo dovuto scioperare per ottenere il rispetto delle normative anticontagio". E lo stesso si è dovuto fare con Amazon. "Loro applicano però il contratto del commercio, ma per quello che mi hanno detto i colleghi lì hanno dovuto scioperare perchè non era rispettato il distanziamento, visto che si lavora a pieno regime -continua Mansar-, anche se ora avrebbero preso delle contromisure".

Per poter proseguire con le attività, com'è ormai ben noto, le aziende durante il lockdown dovevano inviare una comunicazione alla Prefettura di riferimento, specificando codice Ateco e altre informazioni necessarie, potendo già rialzare la saracinesca fin da subito. Non era infatti richiesta alcuna conferma da parte dell'istituzione, chiamata però ad intervenire nel caso di illegittimità. "Per quanto ci risulta nessuna azienda qui è stata chiusa per questa ragione" spiega il funzionario della Filt. E ce lo conferma anche la stessa Prefettura di Piacenza, che però non ha concesso alcuna intervista, facendo comunque sapere di aver ricevuto mediamente oltre 100 comunicazioni al giorno e che soltanto una quindicina di attività sono state sospese, ma non nel polo logistico.

"In buona sostanza -riprende Zorzella- la logistica ha reagito tardi e male, perchè sono mancati i riferimenti normativi, ma anche la volontà delle aziende di avere dei riguardi nei confronti dei propri lavoratori. Abbiamo fatto diverse segnalazioni, ma sono cadute nel vuoto perchè questa distinzione del codice Ateco e le norme non chiare hanno mai portato alla capacità di costringere le aziende a fare chiusure preventive per la riorganizzazione del lavoro. Al netto che le istituzioni possano obbligare a farlo, se hanno gli strumenti adatti -conclude il sindacalista piacentino- il buonsenso delle aziende, che a fronte di una necessità di fare utili mettono in secondo piano la tutela dei lavoratori, in molte realtà è stata una cosa davvero disgustosa".

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