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Petrolchimico Siracusa, giudice contro il governo: non autorizza le raffinerie a usare depuratore dei veleni

Il gip che sta seguendo il caso del depuratore dei veleni di Priolo Gargallo ha deciso di non autorizzare la prosecuzione dei conferimenti dei reflui della grande industria dentro all’impianto consortile. Cosa accadrà adesso e perché viene chiamato in causa il governo.
A cura di Luisa Santangelo
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È come il gioco dell'oca e, stavolta, le raffinerie hanno pescato la carta per tornare alla casella di partenza. Il giudice per le indagini preliminari di Siracusa ha deciso di non applicare il "decreto bilanciamento" dei ministeri del Made in Italy e dell'Ambiente e di non autorizzare la prosecuzione dei conferimenti dei reflui dell'industria petrolchimica nel depuratore IAS spa di Priolo Gargallo.

È questo il primo effetto della sentenza della Corte Costituzionale, pubblicata a giugno, relativa al presunto disastro ambientale in corso nella provincia aretusea.

Il caso del depuratore dei veleni

Al tribunale di Siracusa si sta celebrando l'udienza preliminare del processo a carico di tecnici e amministratori della società mista (pubblico-privata) IAS spa e di Isab (ex Lukoil), Sonatrach, Sasol e Versalis, i cosiddetti "grandi utenti industriali". Secondo i magistrati della Procura, tutti sarebbero stati al corrente del fatto che il depuratore consortile IAS (Industria acqua siracusana) non sia adatto a ripulire i reflui pericolosi dell'industria petrolchimica.

Anzi, secondo l'accusa, IAS inquina. E immette in atmosfera tonnellate di sostanze pericolose come il benzene. Per questi motivi IAS è sotto sequestro dall'estate 2022 e il gip ha imposto, insieme al sequestro, anche il distacco dell'industria, al fine di interrompere l'inquinamento. Impossibile farlo subito, hanno risposto i grandi utenti. Alcuni dichiarando che sarebbero stati necessari anni perché il distacco potesse avvenire in sicurezza.

Tra la fine del 2022 e l'inizio del 2023, il governo si interessa alla questione. Anche perché il futuro del petrolchimico di Siracusa è su tutti i media nazionali: la raffineria Isab è, ai tempi, di proprietà del colosso russo Lukoil. Con l'embargo al petrolio moscovita, imposto come sanzione internazionale per la guerra in Ucraina, si teme la chiusura dei battenti della raffineria. Capace di trascinare con sé l'intero polo – e i suoi diecimila lavoratori, tra diretti e dell'indotto – e la sicurezza energetica dell'Italia intera.

L'interesse strategico e la costituzionalità

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Il governo rende Isab e le infrastrutture a essa collegate "stabilimenti di interesse strategico nazionale". Lo fa dopo essere intervenuto anche sul codice di procedura penale.

Con un decreto di gennaio destinato all'Ilva di Taranto, poi convertito in legge a marzo, il governo stabilisce che, in caso di impianti strategici, "il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività se […] sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento" tra la continuità produttiva, la salvaguardia dei posti di lavoro, la tutela della salute e dell'ambiente.

Il "bilanciamento" in questione è normato da un decreto successivo, pubblicato a settembre e firmato dai ministri dell'Ambiente e del Made in Italy. Secondo i magistrati di Siracusa, però, c'è un problema di costituzionalità. Il decreto Salva Ilva contiene, sostengono i pm, una serie di violazioni della Costituzione.

Il giudice è d'accordo e la questione finisce di fronte alla Consulta. La Corte Costituzionale dà ragione alla magistratura aretusea, sostenendo l'illegittimità del Salva Ilva perché non contiene limiti temporali alle "misure di bilanciamento". Per come era stato scritto dal governo e approvato dal parlamento, insomma, le eventuali deroghe alle leggi in materia di tutela dell'ambiente e della salute pubblica sarebbero potute durare per un tempo illimitato.

Il nuovo provvedimento del gip

La Corte, nella stessa sentenza, ricorda poi che il "decreto bilanciamento", che quelle sostanziose deroghe al Testo unico ambientale le contiene, è un provvedimento che "resta di natura amministrativa, e come tale soggetto agli ordinari controlli giurisdizionali sotto il profilo della sua legittimità". Tradotto: contestarlo non è affare della Corte Costituzionale, ma di altri magistrati sì.

Il gip di Siracusa, sentito il parere della procura, lo contesta. Lo fa con un provvedimento depositato il 31 luglio e notificato anche alla presidenza del Consiglio dei ministri, al ministero dell'Ambiente e a quello del Made in Italy, perché anche a loro – secondo il Salva Ilva – spetta il diritto di fare ricorso di fronte al tribunale di Roma.

I motivi della mancata autorizzazione

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La questione, dunque, si sposta di nuovo nella Capitale, partendo dalle frasi contenute nel provvedimento del gip. "Nel caso di specie – si legge – non ricorrono le condizioni descritte dalla Corte Costituzionale per ritenere operante una legittima procedura di bilanciamento degli interessi in gioco".

Non ci sarebbero "concrete misure gestionali adottabili al fine di mitigare il rischio per la salute e per I’ambiente derivante dall’immissione di reflui industriali in un depuratore privo di un sistema di pretrattamento e di un sistema di convogliamento delle emissioni diffuse".

Questi interventi, oltre a essere "onerosi", hanno anche "tempistiche non definite". Altro che 36 mesi (undici dei quali, per inciso, sono già passati). Il decreto interministeriale, per il giudice, si limita ad alzare i valori limite delle emissioni nell'ambiente, senza porsi "alcun obiettivo di risanamento".

"Nella procedura in esame – va avanti il giudice – manca del tutto la valutazione del danno sanitario", nonostante una sentenza della Corte di Giustizia Europea, in una sentenza del 25 giugno 2024 sull'Ilva di Taranto, abbia stabilito che "gli Stati membri sono tenuti a prevedere che una previa valutazione degli impatti dell attivita di installazione interessata tanto sull'ambiente quanto sulla salute umana" sia un atto necessario alla concessione delle autorizzazioni.

Infine, terzo e ultimo motivo, ricorda il gip che esiste un parere dell'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel quale i tecnici spiegano come alcune delle modalità di monitoraggio da prevedere nel caso del depuratore Ias siano "operativamente inapplicabili". Per questo il giudice "non autorizza la prosecuzione dell’attivita produttiva".

Cosa succede adesso

Così, di nuovo, è tutto in gioco. Di nuovo ai grandi utenti si dovrà chiedere il distacco. Di nuovo si rischia di restare in attesa che altri giudici si esprimano. Perché il provvedimento del gip di Siracusa può essere impugnato, a Roma, sia dal governo sia dalle parti in causa nell'udienza preliminare. Commentando la sentenza della Consulta, il ministro del Made in Italy Adolfo Urso aveva detto: "Non credo che questo cambi nulla sui progetti di uno stabilimento che finalmente si è avviato sulla strada giusta".

"Priolo è il primo caso davvero grave in cui siamo stati costretti a intervenire. Tutti credevano che non ci saremmo riusciti – aveva continuato il ministro – L'Isab non ha chiuso un giorno, abbiamo trovato la soluzione che ha permesso a questa importante azienda italiana di poter continuare a produrre". Ma se la soluzione fosse effettivamente tale non è ancora stato deciso.

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