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Petrolchimico Siracusa, cosa dice la sentenza della Corte Costituzionale sul depuratore dei veleni

La Consulta ha definito illegittima la prosecuzione delle attività del depuratore IAS di Priolo Gargallo se non per “il tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale”.
A cura di Luisa Santangelo
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Non si può continuare all'infinito. L'interesse strategico nazionale di un impianto non può essere una scusa per derogare, senza scadenza, alle normative ambientali. È questa, in estrema sintesi, la conclusione alla quale è giunta la Corte Costituzionale che, stamattina, ha pubblicato la sentenza sul caso del depuratore IAS di Priolo Gargallo, il "depuratore dei veleni" del polo petrolchimico della provincia di Siracusa.

L'illegittimità costituzionale

La Consulta ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale" di uno degli articoli del cosiddetto decreto Salva Ilva, emanato il 5 gennaio 2023 e convertito in legge a marzo dello stesso anno. Nel decreto, assieme alle misure riguardanti l'acciaieria di Taranto, si interveniva sul codice di procedura penale. Stabilendo che, in caso di impianti di "interesse strategico nazionale" sottoposti a sequestro da parte dell'autorità giudiziaria, "il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività se […] sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento" tra la continuità produttiva, la salvaguardia dei posti di lavoro, la tutela della salute e dell'ambiente.

Per la Corte, questa formulazione è incostituzionale perché non prevede un limite di tempo all'applicazione delle misure di "bilanciamento". Sembra, insomma, che le attività debbano proseguire per un tempo indefinito. Ma era stata la stessa Corte costituzionale, proprio parlando dell'Ilva di Taranto, a stabilire che un limite di tempo è necessario. E che questo non debba essere "superiore a 36 mesi". Un argine, quantomeno di natura temporale (tre anni), alle iniziative del governo.

Cosa c'entra l'Ilva con Priolo

È il governo, sin dall'inizio, a collegare il caso Ilva con petrolchimico siracusano. Lo ha fatto inserendo nel Salva Ilva la norma appena citata, che guardava al depuratore di Priolo Gargallo. È dall'inizio dell'estate 2022, infatti, che l'impianto IAS (Industria acqua siracusana) del petrolchimico è sotto sequestro da parte della magistratura. Per la procura di Siracusa lì è in atto un perdurante disastro ambientale di cui sarebbero stati a conoscenza tutti: non solo i tecnici e gli amministratori del depuratore, ma anche i cosiddetti Grandi utenti industriali. Cioè i colossi della petrolchimica nazionale: Isab (ex Lukoil), Sonatrach, Sasol, Versalis.

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Secondo le tesi dell'accusa, IAS anziché depurare inquina. E, stando ai dati analizzati dai consulenti della magistratura, immette nell'ambiente tonnellate di sostanze nocive per la salute. Da cui la lunga indagine e, successivamente, il sequestro. Con l'imposizione, da parte del giudice per le indagini preliminari, del distacco delle raffinerie dall'impianto di depurazione. Per dirla più semplicemente: le industrie avrebbero dovuto scollegarsi da IAS, poiché il continuo confluire dei reflui comporterebbe anche la prosecuzione dell'inquinamento.

Tanto semplice a dirsi quanto difficile a farsi. Anche perché, a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina e dell'imposizione delle sanzioni contro la Russia, incluso l'embargo al petrolio moscovita, gli occhi di tutt'Italia sono puntati sulla (ormai ex) Lukoil. La raffineria, ai tempi ancora di proprietà russa, capace di produrre percentuali rilevanti del combustibile necessario al funzionamento della nazione. L'inchiesta della magistratura di Siracusa, in mezzo alle questioni internazionali, complica ulteriormente le cose.

L'interesse strategico nazionale

Il governo guidato da Giorgia Meloni dichiara Isab Lukoil di interesse strategico nazionale. E dichiara tale anche il depuratore IAS di Priolo Gargallo, in quanto sua "infrastruttura necessaria". A IAS, quindi, si dovrebbe applicare il decreto Salva Ilva. Anche laddove "il giudice autorizza" la prosecuzione dell'attività. Ma il gip come può autorizzare la prosecuzione di un'attività che ha già ordinato di interrompere?

A settembre 2023, come previsto dal Salva Ilva di gennaio, viene pubblicato un decreto interministeriale che contiene le norme per garantire il "bilanciamento" richiesto. Un documento nel quale si mettono nero su bianco le condizioni seguendo le quali è possibile, secondo il governo, mantenere funzionante l'impianto di depurazione, senza fare troppi danni. Il decreto Bilanciamento contiene, in sostanza, delle deroghe al Testo unico ambientale. Cioè permette di scaricare nel depuratore maggiori quantità di alcune sostanze rispetto a quelle che, per legge, si potrebbero normalmente scaricare.

Una mediazione, in soldoni, tra le richieste della magistratura di Siracusa e quelle dei Grandi utenti industriali, abituati a scarichi in fognatura ben superiori, in virtù dei contratti con IAS sotto accusa nell'inchiesta per disastro ambientale. In questo lungo excursus arriviamo così alla fine del 2023. Quando il giudice per le indagini preliminari di Siracusa, nell'ambito dell'incidente probatorio sul depuratore dei veleni, sentita la procura, investe del caso la Corte costituzionale.

Il 7 maggio 2024, a Palazzo della Consulta a Roma, l'udienza è durata più di un'ora. Ed è stato lo stesso relatore del caso, in diverse circostanze, a sottolineare la "complessità" della faccenda. Una complessità che si riflette nelle 35 pagine di sentenza pubblicate stamattina.

La sentenza della Corte Costituzionale

Per la Corte Costituzionale, è cristallino che, stando al contenuto del decreto, "il giudice è, a questo punto, vincolato ad autorizzare la prosecuzione dell’attività, alle condizioni stabilite dal Governo". Condizioni che, secondo i magistrati siracusani, potrebbero essere "insufficienti a offrire adeguata tutela all’ambiente, o addirittura alla vita e alla salute delle persone su cui potenzialmente ricadono le conseguenze nocive dell’attività produttiva".

Nel 2013, ricorda la Consulta, il tema era stato valutato a proposito dell'Ilva di Taranto. E, in quella circostanza, era stato deciso che era possibile che il potere esecutivo (il governo) dettasse delle condizioni per il proseguimento delle attività dell'acciaieria pugliese, nonostante il sequestro giudiziario. Nel caso dell'Ilva, però, l'attività era stata ritenuta "lecita" per 36 mesi. Un tempo ritenuto congruo per intervenire, anche con investimenti straordinari, e rimuovere le cause dell'inquinamento.

Il limite di tre anni, stavolta, non c'è. "Una disposizione come quella in esame – si legge nella sentenza – potrebbe trovare legittimazione costituzionale soltanto in quanto si presenti come disciplina interinale, che consenta di non interrompere un’attività produttiva ritenuta di rilievo strategico per l’economia nazionale o per la salvaguardia dei livelli occupazionali, nel tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale".

Le misure "legittime"

"Le misure legittimamente adottabili dal governo" nel consentire la prosecuzione di un'attività di interesse strategico nazionale devono "essere funzionali all'obiettivo di ricondurre gradualmente l'attività stessa, nel minor tempo possibile, entro i limiti di sostenibilità". Per l'ambiente e per la salute umana. Provando a semplificare ulteriormente: il governo può decidere che il depuratore deve restare operativo, purché si punti a renderlo sicuro entro tre anni.

Come renderlo sicuro per l'ambiente e la salute è un altro punto. Che i giudici costituzionali affrontano in una parentesi della sentenza: il provvedimento con il quale si adottano le misure per la prosecuzione delle attività, si legge, "resta di natura amministrativa, e come tale soggetto agli ordinari controlli giurisdizionali sotto il profilo della sua legittimità".

Cosa succede adesso

Alla luce di questa pronuncia, quello che accadrà adesso non è ancora chiaro. Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha dichiarato di non avere ancora letto il dispositivo della sentenza. "Appena leggerò vedremo cosa ci sia da fare", ha detto. Una opzione è che il governo intervenga, stabilendo un limite temporale pari (o addirittura inferiore) ai 36 mesi citati dalla Consulta.

Nel frattempo, però, il procedimento penale da cui tutta la storia parte, cioè il processo per disastro ambientale al depuratore IAS di Priolo, va avanti. Il gip aveva chiesto l'intervento della Corte Costituzionale per sapere se fosse legittimo l'intervento del governo. La risposta è "no" sotto il profilo che abbiamo spiegato qui sopra, in relazione al decreto Salva Ilva.

Su come garantire il bilanciamento, invece, la Consulta sottolinea quella faccenda della "natura amministrativa" del provvedimento. Da questo, potrebbe derivare che la legittimità delle misure di bilanciamento non sia affare dei giudici costituzionali. Di altri magistrati, però, sì. La partita, insomma, resta aperta. Come sempre, finora, nel caso del depuratore IAS di Priolo.

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