Peste suina, in Italia situazione catastrofica, a rischio 100mila posti di lavoro: l’analisi dell’esperto
L'industria agroalimentare italiana, una delle più importanti e prestigiose del Paese, deve affrontare una minaccia senza precedenti: no, la colpa non è degli effetti del cambiamento climatico, né delle campagne "green" degli ambientalisti, e neppure delle norme europee che affliggerebbero il settore e pregiudicherebbero il lavoro di migliaia di imprenditori. Stavolta la responsabilità è della peste suina africana (PSA), malattia virale dei suini con altissimi tassi di mortalità i cui primi casi vennero registrati in Liguria a inizio 2022. Ebbene, dopo aver circolato prevalentemente tra i cinghiali selvatici la PSA è arrivata da alcune settimane negli allevamenti di maiali domestici e minaccia di avere gli effetti di un uragano.
Giorno dopo giorno vengono individuati nuovi focolai negli allevamenti di un'estesissima area del Nord Italia ed il rischio è che il comparto suinicolo – dagli allevamenti agli impianti di macellazione, dai salumifici ai prosciuttifici – entri in una crisi letale. Qualche dato per capire la dimensione della catastrofe che si prospetta. Il settore, in totale, ha un valore economico pari a 20 miliardi di euro (di questi 2,1 miliardi sono legati all’export) ed occupa 100mila persone in tutti i segmenti della filiera. Cina, Giappone, Taiwan, Cuba , Messico, Thailandia, Uruguay, Brasile, Argentina, Perù, Serbia e Canada hanno già bloccato le importazioni di salumi e prosciutti italiani, ma altri Paesi potrebbero aggiungersi se – come appare sempre più probabile – l'epidemia dovesse espandersi a macchia d'olio.
Eppure questa situazione non era inevitabile. Contrariamente al Covid 19, infatti, la peste suina africana è una malattia ben nota agli esperti. I primi casi vennero riscontrati in una zona circoscritta della provincia di Genova nel gennaio del 2022 ma i governi che si sono susseguiti, e che hanno nominato tre commissari straordinari, avrebbero gravemente sottovalutato la minaccia. La conferma arriva da un recente report dell'Eu Veterinary Emergency Team della Commissione Europea, secondo cui le misure adottate finora per fermare l'epidemia sono state ampiamente insufficienti e scoordinate, finendo per favorire l'estensione del virus. Fanpage.it ne ha parlato con il giornalista Roberto La Pira, direttore de Ilfattoalimentare.it, quotidiano indipendente che da anni ha il merito di seguire l'andamento dell'epidemia di peste suina in Italia e denunciare gli errori e i ritardi degli organi di governo.
Dottor La Pira, partiamo dai dati: qual è, al momento, l’estensione dell’epidemia di peste suina africana (PSA) in Italia?
La situazione è disastrosa e peggiora letteralmente di giorno in giorno. Le carcasse di suini morti a causa della peste suina rinvenute dal 2022 ad oggi sono 2.642 e i focolai individuati 49 (all'11 settembre). Consideri che solo quattro giorni fa erano 45, e in luglio erano meno della metà. Si tratta di allevamenti nei quali sono stati uccisi tutti i maiali. I capi di bestiame abbattuti sono in totale 117mila dal 2022 (più della metà sono stati abbattuti in queste settimane). Non si tratta di fare catastrofismo, ma l'epidemia sta correndo ed è ormai fuori controllo. Siamo al punto di non ritorno.
Come si è arrivati a questa situazione?
Qualsiasi studente di veterinaria sa cos'è la peste suina africana e cosa comporta. Non stiamo parlando del Covid 19, ovvero di un virus sconosciuto arrivato all'improvviso. No, la peste suina è una malattia nota e ampiamente studiata: si sapeva quindi benissimo che nel gennaio 2022 era "sbarcato" in Liguria un virus molto invasivo, e se lo sapevano i veterinari figuriamoci gli esperti al Ministero dell'Agricoltura, che evidentemente hanno peccato di incompetenza. Tanto che i due commissari straordinari sulla peste suina nominati prima di quello attuale non hanno saputo affrontare il problema. A gennaio 2022, quando il virus era circoscritto a un piccolo territorio dalle parti di Genova, spiegammo che l'area interessata andava recintata, i cinghiali dovevano restare in quel territorio ed evitare assolutamente azioni in grado di favorire il loro spostamento come accade con certe battute di caccia. Sarebbero morti e l'epidemia non si sarebbe estesa ad altre regioni. Invece non è stato fatto niente di utile: si è puntato solo sulla caccia al cinghiale, e il virus si è spostato insieme ai cinghiali in fuga. Aggiungo un elemento di riflessione: la Sardegna, con un lungo e complicato lavoro, è stata in grado negli ultimi anni di debellare la peste suina. Eppure nessuno dei primi due commissari nominati dal Governo ha pensato di coinvolgere esperti di quell'isola. Non è un caso che l’attuale commissario Giovanni Filippini provenga da lì.
A un certo punto è spuntato l'esercito: dal governo hanno annunciato l'arrivo di 177 militari destinati alla caccia al cinghiale.
È ridicolo. I cinghiali non sono animali migratori, ma se gli dai la caccia sono ovviamente portati a spostarsi. E se si spostano suini infetti le conseguenze sono facilmente deducibili. Qualche mese fa il Ministero dell'Agricoltura ha estratto dal cilindro questi 177 militari. Aria fritta, non servono a niente. Cosa possono fare, considerando che la “zona rossa” si estende da La Spezia a Parma, prosegue per Cremona, Milano, Busto Arsizio, Vercelli, Alessandria e Alba? Basta avere delle nozioni basilari di geografia per comprendere che 177 soldati sono praticamente inutili. Anzi, sono un modo per far credere all'opinione pubblica che si sta facendo qualcosa.
Per debellare l'epidemia si è puntato sulla caccia al cinghiale, ma un recente report della Commissione Europea denuncia che la strategia complessiva di controllo è stata per anni molto carente. Sulla caccia, il report precisa che deve essere uno strumento per prevenire la diffusione della peste suina e non la soluzione del problema. Cosa andava fatto, in alternativa?
Il problema andava affrontato tempestivamente fin dal gennaio del 2022. Andavano convocati tutti gli attori a vario titolo coinvolti: dai veterinari ai sindaci, dalle Asl agli enti del turismo passando ovviamente per le organizzazioni di categoria. Le aree interessate dal contagio, inizialmente limitate, andavano subito circoscritte e recintate. Non sarebbe stato un lavoro semplice, ma era l'unica cosa fattibile. E d'altro canto il commissario del Governo avrebbe avuto tutti i poteri per bloccare sul nascere l'epidemia. Insomma, non stiamo parlando di un veterinario qualsiasi ma di un commissario straordinario. Invece hanno puntato sulla caccia al cinghiale e adottato recinzioni pieni di varchi e, soprattutto, non sono stati coinvolti gli allevatori di suini che dovevano adottare subito le misure di biosicurezza. Gli allevatori sono stati direttamente coinvolti solo 15 giorni fa imponendo loro la mesa in sicurezza delle strutture, dopo che sono stati abbattuti 117 mila capi!
Che ruolo hanno svolto il Consorzio del Prosciutto di Parma e Coldiretti nella vicenda? Hanno cercato di sensibilizzare le strutture territoriali, il commissario straordinario o il ministero sollecitando interventi incisivi?
Facciamo finta che io sia il presidente di Coldiretti o del Consorzio del Prosciutto di Parma: se al posto loro nel gennaio del 2022 avessi letto dell'arrivo della peste suina africana avrei dato subito l'allarme, allertato tutte le istituzioni. Insomma, avrei capito perfettamente che le attività dei miei consociati sarebbero state a rischio. Invece questi signori non hanno detto niente. Vedevano che il virus si spostava, che le carcasse di animali infetti aumentavano; avrebbero potuto pensare che prima o poi il virus sarebbe arrivato anche in Emilia Romagna. Invece si sono agitati solo quando è stata trovata in primavera la prima carcassa di cinghiale morto a Langhirano, sede del Consorzio del Prosciutto di Parma. Lo abbiamo scritto su Il Fatto Alimentare e allora Coldiretti e il Consorzio hanno avuto l’accortezza di diffondere due comunicati sul tema! In due anni e mezzo di epidemia la questione è stata praticamente ignorata. Attenzione, Coldiretti è da sempre l'associazione di categoria che detta la linea al Governo, eppure non hanno mosso un dito, se non per chiedere e ottenere ristori quando ormai era chiara la portata del problema.
Cos'altro avrebbero dovuto fare? In fondo sono associazioni di categoria, ma non hanno poteri diretti, non possono adottare provvedimenti…
Agitarsi, sollevare il problema ai massimi livelli, chiedere da subito ai commissari provvedimenti davvero in grado di arginare l'epidemia, e non solo ristori. Coldiretti, che pubblica comunicati stampa ogni giorno su qualsiasi argomento, è stata di fatto assente sulla peste suina. Idem il Consorzio del Prosciutto di Parma. AssoSuini ha provato a farsi sentire, così come Confagricoltura, ma si tratta di associazioni troppo deboli. Infatti non sono stati ascoltati.
Ma per quale motivo Coldiretti e Consorzio avrebbero dovuto tacere? In fondo l'epidemia investe i loro associati…
Non essendoci problemi per la salute umana hanno preferito "insabbiare" il problema e puntare sui ristori economici.
Il settore però occupa circa 100mila persone, considerando tutta la filiera. Il comparto rischia di collassare?
Non sono un economista. So solo che la situazione è fuori controllo, che la zona rossa è estesissima e coinvolge otto regioni, e che negli ultimi quattro giorni sono stati identificati quattro nuovi focolai. Parliamo di un allevamento al giorno. Il virus è arrivato in Lombardia ed Emilia Romagna, le regioni dedicate agli allevamenti di maiali. Se si considera che non è stato fatto un sufficiente lavoro di informazione sulla biosicurezza nelle aziende possiamo prevedere che purtroppo i focolai aumenteranno ancora.
Da alcune settimane il Ministero dell'Agricoltura ha nominato il terzo commissario straordinario per la PSA, Giovanni Filippini. Cosa ne pensa?
È preparato, ma ha iniziato adesso a fare cose che andavano fatte due anni e mezzo fa e che i suoi predecessori non hanno fatto.
Quanto tempo servirà per arginare l’epidemia, se verranno rispettate tutte le regole più stringenti?
Il picco della fase critica è ancora lontano. Il virus è appena arrivato negli allevamenti di suini, e gli ultimi animali infetti sono stati trovati in zone molto distanti tra loro (nella zona di Novara e nella zona di Vercelli), a dimostrazione che il virus circola abbondantemente anche in aree non contigue. Serviranno anni per debellare l'epidemia, secondo lo stesso Ministero 4 o 5. E per il settore, e chi ci lavora, sarà un disastro.