Perché Turetta potrebbe non pagare i 760mila euro di risarcimento previsti dalla sentenza di condanna
Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Venezia. Oggi, mercoledì 3 dicembre, si è tenuta l'udienza conclusiva del processo in cui il ragazzo era imputato per il femminicidio di Giulia Cecchettin, uccisa a coltellate dall'ex fidanzato l'11 novembre 2023.
I giudici hanno riconosciuto l'aggravante della premeditazione, che ha motivato la condanna all'ergastolo, ma non quelle della crudeltà e dello stalking. È stato inoltre deciso che il ragazzo risarcisca con una provvisionale di 500mila euro Gino Cecchettin, padre della vittima.
Sono stati anche riconosciuti risarcimenti provvisionali di 100mila euro per la sorella Elena, 100mila per il fratello Davide, 30mila per la nonna Carla Gatto e 30mila per lo zio Alessio.
"Intanto, dobbiamo dire che con ‘provvisionale' si intende un acconto sull'importo complessivo che viene stabilito all'esito di un giudizio civile", ha spiegato a Fanpage.it il giudice Valerio de Gioia, consigliere della Corte d'Appello di Roma e consulente della Commissione di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere.
"La provvisionale è per sua natura provvisoriamente esecutiva. Quindi, per ottenere queste somme non bisogna aspettare il passaggio in giudicato, come invece bisognerà fare con la sentenza di condanna all'ergastolo, nel caso in cui il legale decida di impugnare la sentenza in appello e, se non trova soddisfazione, in Cassazione", aggiunge.
Al padre di Giulia Cecchettin, Gino, è spettato l'importo più alto "perché è l'unico genitore, visto che la mamma non c'è più e nella quantificazione quello del papà è stato ritenuto il dolore più forte poiché è innaturale per un padre perdere una figlia. – precisa ancora de Gioia – È vero che non esiste un prezzo del dolore, siamo tutti d'accordo, ma dovendo quantificare gli importi, quello più alto spetta ai genitori".
Al giudice de Gioia abbiamo chiesto se ritiene che Turetta possa effettivamente risarcire la famiglia di Giulia Cecchettin. "Io penso che sarà molto difficile ottenere quelle somme. Tranne forse in un futuro molto lontano, nel caso in cui per via ereditaria il ragazzo ottenga qualcosa. Quei beni potranno essere potenzialmente aggrediti", spiega l'esperto.
"Purtroppo, quando i delitti sono commessi da soggetti così giovani, i ragazzi vivono ancora in famiglia. A livello civilistico, e anche in questo caso, non è tuttavia configurata la responsabilità dei genitori perché sia quella penale che civile sono del maggiorenne. I genitori di Turetta potrebbero offrirsi di pagare per lui ma non penso abbiano queste disponibilità".
Come osserva il giudice, "i parenti della vittima potranno far valere per sempre il titolo giudiziale. Se domani il ragazzo dovesse uscire dal carcere, ricevere qualcosa in eredità, iniziare un'attività lavorativa o comprarsi un appartamento, deve tenere conto che lui avrà sempre questo debito nei confronti dei familiari di Giulia Cecchettin".
"Ora come ora, però, dubito che un ragazzo così giovane abbia la possibilità di pagare queste somme e i genitori non sono obbligati a farlo. Esiste tuttavia un fondo statale che riconosce un indennizzo per i familiari delle vittime di reati intenzionali violenti".
"Il presupposto è che l'autore del reato non abbia dato loro nulla. Bisogna fare una richiesta alla Prefettura, la competenza quindi è del Ministero degli Interni, e dimostrare che l'autore è impossidente. Il tetto massimo è 50mila euro per l'omicidio", precisa.
Oltre alla condanna all'ergastolo e al pagamento della provvisionale, la Corte d'Assise di Venezia ha anche interdetto l'imputato dai pubblici uffici e ordinato "la pubblicazione della sentenza di condanna mediante affissione" nei Comuni di Venezia, Vigonovo (dove viveva Cecchettin) e nel Comune di Torreglia (il paese d'origine di Turetta).
"È una pena accessoria della condanna all'ergastolo, stabilita dall'articolo 36 del Codice Penale ma, nei fatti, è un po' anacronistica. Il Codice è del 1930 e all'epoca, quando una persona veniva condannata, lo si veniva a sapere in questo modo, con la pubblicazione della sentenza sui giornali o mediante l'affissione nel Comune di residenza. Oggi bisogna farlo perché è obbligatorio, ma non ha più il valore che aveva prima e ha un po' perso il suo significato", spiega de Gioia.
"Diciamo che la condanna all'ergastolo ovviamente non riporta in vita la ragazza e che le somme di denaro non compenseranno mai il dolore dei familiari. – conclude il giudice – Ma, più che la pena inflitta, è importante sottolineare la celerità con cui è stato celebrato questo processo che ha avuto dei tempi davvero molto brevi".