Il 10 giugno 2023 è stata rapita Kata Alvarez, cinque anni, dall’ex hotel Astor di Firenze. Un hotel da tempo sottoposto al racket degli affitti. Un giro di affari losco gestito, tra gli altri, da Argenis Abel Alvarez Vazsquez, lo zio materno della piccola Kataleya.
Riformuliamo meglio. Il 10 giugno 2023 non è stata rapita una bambina delle tante che abitavano nello stabile, ma quella bambina. Che è stata portata via in un momento preciso: quando era sotto la sorveglianza dello zio Abel. La stessa persona su cui grava oggi una misura di custodia cautelare in carcere per reati gravissimi: estorsione, tentata estorsione, rapina, tentato omicidio e lesioni gravi. Tutti commessi tra il novembre 2022 ed il maggio 2023.
Ieri l’ennesimo colpo di scena. Una presunta telefonata del nonno recluso in carcere in terra d'origine. “Kata è in Perù, sta bene e l’hanno rapita per errore”. Una chiamata a cui è poi è seguita la smentita a mezzo di comunicato stampa da parte dei legali dei genitori di Kata. Ma è davvero una smentita o si tratta dell'ennesimo depistaggio?
Il cerchio si stringe così come le logiche investigative puntano sulla cerchia familiare. Del resto, lo stesso Gip di Firenze ha messo nero su bianco come, Katherine Alvarez e Miguel Angel Romero Chicclo, i genitori di Kata, abbiano taciuto informazioni importanti proprio in relazione alla sparizione della piccola. E, dunque, dove sta la verità?
Che cosa dice, o non dice, la presunta chiamata del nonno di Kata?
Andiamo con ordine. Se quanto trapelato in relazione alla presunta telefonata si rivelasse conforme al vero, e non sarà difficile stabilirlo visto che le chiamate dal carcere sono registrate, il quadro non potrebbe essere più limpido. Peraltro, non sarebbe neppure la prima volta che il nonno dal Perù parla del rapimento. Dopo qualche settimana, infatti, lo stesso aveva riferito che la bambina era stata avvistata salire su di un pullman a Bologna.
Torniamo quindi all’investigazione tradizionale. Quella che si basa sulla logica e l’intuizione.
Una certezza lampante, almeno all’avviso di chi scrive: sin dal primo momento, tutta la famiglia Alvarez, ha fatto muro intorno allo zio Abel. Lui, che è stato il vero regista e burattinaio del racket degli affitti dell’ex hotel Astor. Un soggetto indubbiamente inserito in un circuito criminale pericolosissimo. Ed esposto a rischi di un certo tipo.
A cui, però, era stata affidata la custodia della bambina. Rapita, come già sottolineato, proprio quando era sotto la sua sorveglianza. Un uomo che, attualmente, è detenuto in regime di custodia cautelare proprio in considerazione del racket degli affitti e con capi di imputazione gravissimi.
Ricordate? Prima regola non scritta sulla scena di un crimine (o presunto tale). Le coincidenze non esistono.
Che fine ha fatto la piccola Kata?
In quest’ottica, capirete, che, anzitutto, non si possono concepire le due vicende, quella del business e quella del rapimento, come separate. Al contrario, devono essere lette in maniera interconnessa tra di loro. Come già avevo ricostruito, il rapimento di Kataleya è maturato nell’abito degli affari dell’ex hotel Astor. Una punizione concretizzata, per chi scrive, proprio con l’obiettivo di vendicare chissà quale torto subito. Niente di nuovo, sul punto. Se non fosse che, con il proseguo delle indagini, quel che appare chiaro è che le menzogne continuino ad essere preferite dai familiari piuttosto che fornire un apporto concreto alle indagini per ritrovare la bambina.
Dunque, all’avviso di chi scrive, a maggior ragione se le parole del nonno trovassero un chiaro riscontro negli atti d’indagine, sia i genitori di Kata che lo zio Abel, potrebbero avere un’idea ben chiara rispetto a chi, e di conseguenza perché, ha rapito la piccola. Un’idea che anche i genitori potrebbero aver maturato sin dall’inizio, quando hanno messo in piedi un simultaneo, e neanche troppo convinto, tentativo di suicidio. Lo hanno fatto tacendo su quelle che erano le vicende ed il business che ruotava intorno all’hotel Astor. Ancora. Lo hanno fatto non raccontando né dei gravi episodi verificatisi all’interno dello stabile né della posizione occupata, proprio da chi aveva in custodia la bambina prima che scomparisse. Viene da chiedersi il perché di tutto questo. Probabilmente, almeno fino agli arresti, la remora maggiore poteva derivare proprio dal timore che lo zio Abel venisse scoperto e quindi finisse dietro le sbarre. Una remora che, vale la pena sottolinearlo, è totalmente lontana rispetto alle logiche che dovrebbero muovere due genitori in cerca della verità. Dato che, comunque, ad essere sparita è la loro figlia di cinque anni. Del resto, neppure il Gip di Firenze ha fatto mistero sul silenzio e l’omertà di Katherine Alvarez e Miguel Angel Romero Chicclo.
Qual è la strada investigativa per arrivare alla verità?
Purtroppo, la letteratura criminologica in materia di bambini scomparsi non lascia spazio a troppe illusioni. Se un rapimento non si risolve entro le prime ventiquattro ore, purtroppo, le probabilità di trovare in vita lo scomparso sono poche. Probabilità che si riducono ulteriormente se il tempo si dilata oltre le trentasei ore. Kata è ormai scomparsa da oltre due mesi. Dunque, la strada per la verità, all’avviso di chi scrive, ha solo una direzione. Quella di investigare su tutti i rapporti familiari e che ruotano intorno alla figura dello zio Abel.
“Non c’entro con la sua scomparsa, mi manca ogni giorno”. Queste le parole pronunciate dall’uomo dal carcere di Sollicciano dove si trova detenuto. Nessuno, però, vuole accusarlo di essere coinvolto in maniera diretta nel rapimento. Semmai, la partita si gioca su di un altro campo. Lui è sicuramente l’uomo chiave. E lo è perché è verosimile che sappia più di quanto ha dichiarato fino ad oggi. Per tornare alle parole del nonno, invece, sono convinta che qualcosa sia emerso nel corso delle indagini. Per intenderci, se tuona vuole dire che da qualche parte piove.
Che cosa può emergere dalle indagini sul racket degli affitti?
Al momento, lo zio Abel risulta indagato per reati che apparentemente hanno niente a che fare con il rapimento di Kata. Ma la procedura penale sul punto è chiara. Mi spiego. Durante il procedimento penale in corso, il Pm – laddove ritenga che dall’indagine sugli affitti esistano elementi per indagare anche sul rapimento di Kata – ha piena facoltà di farlo. Quindi, è sistematicamente prevista questa possibilità nel nostro ordinamento giuridico.
Ai sensi degli artt. 112 della Costituzione e 50 del codice di procedura penale, difatti, spetta proprio al Pubblico ministero l’esercizio dell’azione penale. Poi sarà il Gip a decidere se archiviare o portare avanti anche il secondo troncone d’indagine.