Perché secondo Burioni il Vaiolo delle scimmie non deve preoccuparci
Nonostante i casi confermati di Vaiolo delle scimmie nell'uomo continuino ad aumentare nel mondo, compresa l'Italia dove oggi è arrivata la notizia del quarto caso accertato, il virus al momento non deve preoccuparci più di tanto perché si tratta di un agente patogeno già largamente conosciuto che in rari casi porta a ospedalizzazione e in casi ancora più rari a conseguente letali. A ricordalo è Roberto Burioni virologo del San Raffaele di Milano, facendo il punto sulla situazione di questo virus.
In una lezione sul vaiolo delle scimmie andata in onda nel corso della trasmissione di Rai 3 Che tempo che fa, Burioni ha ricordato innanzitutto che "Il virus che causa il vaiolo delle scimmie è vecchissimo: il primo caso umano si è registrato nel 1970″ e che "Questo virus, per come lo conosciamo finora, possiamo considerarlo il cugino molto più buono del vaiolo. Infatti è di gran lunga meno pericoloso" provocando "qualcosa di simile a una varicella piuttosto grave". Inoltre si tratta di un virus che muta molto più lentamente rispetto ad esempio al Covid 19 o il virus dell’influenza ed è dunque più controllabile.
"Il virus che sta circolando è quello del 1958 o è mutato diventando più infettivo? Ancora non abbiamo elementi per escludere questa possibilità, anche se proprio ieri sono stati resi pubblici dei dati che sembrano andare nella direzione di una stabilità" ha chiarito l'esperto, avvertendo però che i casi sono destinati ad aumentare nelle prossime settimane, "specie se non si interrompe in maniera efficace con il tracciamento la catena del contagio che non avviene solo per via sessuale".
L'ipotesi che il virus sia mutato rispetto a quello che conosciamo da decenni "è possibile ma alla luce delle nostre conoscenze non è molto probabile. Il virus del vaiolo delle scimmie appartiene a una famiglia di virus che muta molto poco, niente a che vedere con COVID o il virus dell’influenza". Molto più probabile, secondo Burioni è che "Siccome il vaiolo è sparito e dal 1981 e nessuno viene più vaccinato, il virus del vaiolo delle scimmie si è trovato davanti un gran numero di esseri umani infettabili".
Del resto, come ha ricordato il Virologo, i casi sono in costante aumento negli ultimi decenni con un focolaio epidemico importante già nel 2017 in Nigeria che ha contato oltre 700 casi. Il fatto che però ora in Europa si siano registrati così tanti casi in così poco tempo ha fatto alzare giustamente il livello di attenzione, ma per gli esperti non deve indurre al panico. In attesa di altri dati, "al momento però possiamo vedere i lati tranquillizzanti della situazione. Abbiamo già disponibile un vaccino efficace e in grado di bloccare il contagio, una parte della popolazione è già immune e se la malattia dovesse trasmettersi – come sembra – prevalentemente con contatti sessuali e ravvicinati sarebbe facile ostacolare il contagio" ha sottolineato Burioni.
Della stessa idea anche il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli secondo il quale "Non ci sono al momento elementi di particolare preoccupazione" anche se "ovviamente la situazione va monitorata". Anche per Massimo Galli, già direttore del reparto di malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano, "se non sfugge qualcosa, se le cose vengono fatte bene, non dovremmo avere grandi problemi se non un ulteriore monito sul fatto che la natura va maneggiata con cura". Per Galli "è importante andare a vedere da dove questa infezione parte. E seguire con molta attenzione i contatti. In questo modo si dovrebbe chiudere la vicenda in un tempo ragionevole" ma "Non avrebbe nessun senso tornare al vaccino anti vaioloso". Come ha spiegato all'Adnkronos Salute, Per "Il rapporto costo-beneficio non è tale da reintrodurre un vaccino che, tra l'altro, non è una passeggiata gratis: ha una serie di effetti collaterali. E il rischio di questi effetti, bilanciato al rischio di prendere l'infezione, mi fa dire che non vale assolutamente la pena di vaccinarsi".