Perché Salvini ha rinunciato ad essere parte civile nel processo a Montante?
“Perché il ministero dell’Interno non si costituisce parte civile in un processo in cui sono imputati uomini dei servizi segreti, della polizia e della Dia?” A chiederlo è Gianpiero Casagni, giornalista di Caltanissetta, in una lettera rivolta al ministro della Giustizia e al presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra. Casagni è uno dei quattro giornalisti finiti nel mirino della rete di spionaggio creata da Antonio Montante, ex numero uno di Confindustria Sicilia, arrestato nel maggio 2018.
Montante, per anni considerato un paladino della legalità, è imputato per vari reati: dall'associazione a delinquere fino all'accesso abusivo al sistema informatico della polizia, di cui appunto è responsabile il ministero dell’Interno. L’inchiesta della procura di Caltanissetta vede coinvolti, tra gli altri, anche Arturo Esposito, l'ex capo dei servizi segreti interni (Aisi), nonché alti ufficiali di polizia, guardia di finanza e carabinieri. Forze dell’ordine che, secondo il giudice per le indagini preliminari, sarebbero state al servizio dell’associazione criminale messa in piedi dall'ex presidente degli industriali siciliani. Imputati anche Andrea Cavacece, dirigente Aisi, e il questore Andrea Grassi, del Servizio centrale operativo (Sco) di Roma, accusati di aver avuto un ruolo nella fuga di notizie in favore di Montante e di aver sviato le attività investigative che lo riguardavano.
Il “sistema Montante”: informazioni riservate a cambio di favori ad amici e parenti
Il giudice per le indagini preliminari, nel rinvio a giudizio degli imputati, ha messo nero su bianco il “sodalizio” creato da Antonio Montante. “In particolare – scrive il GIP – Montante reclutava imprenditori della provincia di Caltanissetta disposti a condividere il progetto di progressiva occupazione dei posti di vertice di associazioni di categoria, enti e società […] al fine di una loro gestione clientelare”. Per garantire la protezione della rete – continua la procura di Caltanissetta – alcuni membri delle forze dell’ordine avrebbero passato “informazioni riservate” allo stesso Montante a cambio di elargizioni di favori personali o per amici e familiari. Ufficiali come Giuseppe D’Agata, comandante provinciale dell’arma dei carabinieri, Gianfranco Ardizzone, comandante della Guardia di Finanza di Caltanissetta e poi capo della Dia. E ancora: Salvatore Graceffa, vice sovraintendente di polizia alla questura di Palermo, accusato di aver “messo a disposizione” di Montante la banca dati della polizia di Stato per avvertirlo delle indagini in corso.
Lettere anonime, minacce e dossier per screditare i giornalisti scomodi
Oltre ad Attilio Bolzoni, inviato di Repubblica, vittima di ritorsioni, minacce, pedinamenti, nel processo in corso si sono costituiti parti civili altri tre giornalisti del settimanale siciliano Centonove: Gianpiero Casagni, Enzo Basso e Graziella Lombardo. Casagni, in particolare, fin dal 2015 aveva scritto delle disavventure giudiziarie dell’ex presidente di Confindustria Sicilia, all'epoca considerato un “campione” della lotta contro la mafia. Quando gli agenti hanno perquisito l’abitazione di Montante hanno incontrato diversi dossier su Casagni. “Un tipo di attenzioni che in Sicilia non sono affatto piacevoli – ha sottolineato il giornalista – ma che per fortuna non sono andate oltre”.
Nicola Morra: “Lo Stato è abbondantemente infiltrato”
Nel processo a Montante e gli altri si è aperto un nuovo, polemico capitolo. Nell'udienza del 26 marzo al tribunale di Caltanissetta, il ministero dell’Interno ha deciso di non presentarsi come parte offesa contro i funzionari imputati di gravi reati. Anzi, si è costituito come responsabile civile difeso dall'Avvocatura dello Stato. “Il ministero dell’Interno – scrive Casagni – è disponibile a rischiare di pagare ma non a chiedere il risarcimento dei danni ai propri dipendenti infedeli. Come parte civile non posso che essere contento di avere a disposizione, in caso di condanna, un terzo capiente economicamente (il ministero dell’Interno), come cittadino, invece, assolutamente no”.
La decisione del ministero dell'Interno ha destato lo stupore anche del presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra. Intervistato dal Fatto Quotidiano, Morra ha dichiarato: “Il fatto che il Viminale rinunci a essere attore in un processo che coinvolge agenti, dirigenti della Direzione investigativa antimafia e dei Servizi di sicurezza mi pare rilevante. E bisogna capire se sia frutto di una distrazione, oppure frutto di una scelta che io non posso condividere. Lo Stato è stato abbondantemente infiltrato, e doveva costituirsi, per rispetto a tutti coloro che lo servono fedelmente. Vorrei capire se il ministro dell’Interno Salvini sia a conoscenza di tutto questo”.
Palazzo Chigi “non ritiene opportuno” che il ministero dell’Interno si costituisca parte civile
Secondo fonti del Viminale, Matteo Salvini voleva costituirsi parte civile nel processo contro Montante, ma Palazzo Chigi “non lo ha ritenuto opportuno”, in quanto “l'Avvocatura dello Stato, per conto della stessa Presidenza del Consiglio, aveva già assunto la difesa di uno degli imputati, ossia Andrea Cavacece, capo reparto dell'Aisi”. Si tratta, concludono dal ministero dell'Interno, di una “doverosa risposta” al presidente dell’Antimafia Nicola Morra che aveva chiesto spiegazioni a Salvini. “Per ulteriori delucidazioni – proseguono le fonti – Morra potrà rivolgersi al presidente Conte”.