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Covid 19

Perché nonostante i vaccini siamo nella fase più caotica e confusa di tutta la pandemia

Siamo nel momento più incerto da quando è iniziata la pandemia. Chi poteva immaginare che dopo un anno di somministrazione dei vaccini, ci saremmo ritrovati in una situazione così caotica e confusa?
A cura di Giorgio Sestili
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Siamo nel momento più incerto da quando è iniziata la pandemia. Chi poteva immaginare che dopo un anno di somministrazione dei vaccini, ci saremmo ritrovati in una situazione così caotica e confusa? Pensateci un attimo. Quando esplose tutto nel marzo 2020, e tutti venimmo colti di sorpresa, c’era una sola cosa da fare contro il dilagare del virus: chiudere tutto, in Italia come in quasi tutto il mondo, e ci vollero solo pochi giorni per capirlo.

L’estate successiva ci fece poi abbassare la guardia, in molti ingenuamente pensarono che il virus fosse estinto o “clinicamente morto”, salvo poi dover fare i conti con una nuova, drammatica ondata durante l’autunno. Anche allora però non c’erano molte alternative: bisognava contenere il virus e l’unico modo che avevamo per farlo era innalzare barriere contro di esso. Grazie all’esperienza acquisita in quei mesi siamo riusciti ad evitare un nuovo lockdown e ci siamo inventati un sistema a colori con cui disegnare le regioni italiane tuttora in vigore, seppur con parametri modificati nel corso del tempo.

E adesso invece? In questi giorni sentiamo di tutto. Virologi che dichiarano che Omicron potrebbe essere l’inizio della fine della pandemia, medici che alzano l’allerta sul fatto che gli ospedali si stiano di nuovo riempiendo, chi invoca nuove chiusure immediate, chi invece richiama in causa l’immunità di gregge. Mai come in questo momento non esiste una voce unica, né tra gli scienziati, né tra il governo e le istituzioni.

L’incertezza nel mondo politico

L’incertezza nel mondo politico in questo caso ha il sapore di un vero e proprio pasticcio. In questi quasi due anni di pandemia, la politica ha sempre dovuto trovare il punto di equilibrio di una bilancia che vede da una parte la salvaguardia della salute pubblica, e dall’altra la salvaguardia dell’economia; o, se vogliamo dirla meglio, della crescita economica e dei profitti. Si può essere d’accordo con l’una o con l’altra ipotesi ma il punto, quando si prendono decisione politiche, è avere un obiettivo chiaro. Qual è l’obiettivo del governo con le nuove misure varate il 5 gennaio? Diciamolo chiaramente: non saranno di certo queste misure a far scendere i contagi nelle prossime settimane. Primo, perché non pongono alcun argine alla diffusione del virus. Secondo, perché per vedere gli effetti positivi dell’obbligo vaccinale sulle ospedalizzazioni servirà parecchio tempo. Per capirlo basta qualche semplice calcolo.

Gli effetti dell’obbligo vaccinale per gli over-50

Gli over-50 non vaccinati in Italia sono circa 2 milioni e 300 mila (Grafico 1). Ipotizzando che si vaccinino tutti (ma valli a convincere tutti quelli che non lavorano!) e ipotizzando che subito tutti si riversino negli hub vaccinali, in soli tre giorni potremmo riuscire a somministrare a tutti la prima dose. Poi bisognerà attendere tre settimane per la seconda dose e altri 15 giorni affinché il vaccino raggiunga la sua piena efficacia. In sostanza, nella migliore (e irrealistica) ipotesi appena fatta, ci vorranno almeno 45 giorni per proteggere tutti gli over-50 e cominciare a vedere i primi effetti positivi sulle ospedalizzazioni (li vedremo anche sui contagi, ma in misura ridotta).

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Possiamo quantificare i benefici dell’obbligo vaccinale tra gli over-50? In parte sì, basta osservare il Grafico 2. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, rispetto ai contagi avvenuti tra il 12 novembre e il 12 dicembre 2021 abbiamo avuto:

  • Per la fascia 40-59 anni, 2350 ospedalizzati non vaccinati su una popolazione complessiva di 2,6 milioni. I vaccinati ricoverati sono stati solo 879 su 15,8 milioni;
  • Sempre per la fascia 40-59 anni, 348 ricoverati in TI non vaccinati e solo 64 vaccinati;
  • Per la fascia over-60, 4025 ospedalizzati non vaccinati su una popolazione complessiva di 1,4 milioni. I vaccinati ricoverati sono stati 6347 su una popolazione complessiva di 16,8 milioni di persone.
  • Sempre per la fascia over-60, 649 non vaccinati ricoverati in TI e 513 vaccinati.
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Da questi dati emerge con forza l’importanza di essere tutti vaccinati. Nella fascia 40-59 anni un non vaccinato ha 15 volte il rischio di essere ricoverato rispetto a un vaccinato e 32 volte in più di finire in TI. Tra gli over-60 invece, un non vaccinato ha 7 volte il rischio di ospedalizzazione rispetto a un vaccinato, e il rischio sale a 15 volte per le TI.

Di conseguenza, nell’ipotesi che tutti gli over-50 si vaccinino, nel giro di 45 giorni potremmo ridurre di 7-15 volte l’incidenza sugli ospedali per questa fascia d’età e di 15-32 volte sulle TI (e quindi anche sui decessi). Si tratta di numeri enormi, che potrebbero davvero portare alla fine dell’emergenza pandemica in Italia almeno per quanto riguarda il rischio di malattia, perché ormai abbiamo capito che il virus invece continuerà a circolare.

Essere stati i primi ad aver introdotto una sorta di obbligo vaccinale è certamente meritevole. D’altronde se in tanti lo hanno annunciato – Austria, Germania, addirittura la Presidente della Commissione Europea Von Der Leyen – e nessuno lo ha ancora fatto, è perché evidentemente i problemi politici e normativi non sono così semplici da risolvere. Ma una cosa è certa: gli ultimi provvedimenti governativi non rallenteranno in alcun modo la curva dei contagi, che se raggiungerà il picco tra qualche settimana sarà per ben altri motivi. E quindi, che numeri dobbiamo aspettarci?

I casi positivi che potremmo avere a fine gennaio

Per capire lo sviluppo di un’epidemia nel breve periodo bastano semplici operazioni matematiche. Non ci serve sapere con esattezza quanti contagi avremo tra due o tre settimane, ci interessa capire l’ordine di grandezza del problema, per calcolare ad esempio quando gli ospedali andranno davvero in sofferenza.

I contagi stanno crescendo esponenzialmente con un tempo di raddoppio di circa 7 giorni. Questo significa che se la scorsa settimana avevamo raggiunto i 100 mila casi e questa abbiamo raggiunto i 200 mila, la prossima potremmo raggiungere i 400 mila casi positivi giornalieri, che però non riusciremo a misurare perché la nostra capacità di fare tamponi non arriverà a tanto, motivo per cui crediamo che anche i casi attuali siano in realtà sottostimati. Considerato però che questa crescita è destinata per forza di cose a rallentare, perché le persone ammalandosi si mettono in isolamento e con loro anche i contatti stretti, possiamo fare un’ipotesi conservativa per cui per i prossimi 20 giorni i casi procederanno in media con un ritmo costante di circa 150 mila al giorno. Questo significa che saranno contagiate circa 3 milioni di persone e, considerato che un contagiato ne mette in media in isolamento altre tre o quattro, circa 10 milioni di persone saranno in isolamento. Ripeto, non ci interessa la precisione del numero ma un ordine di grandezza che sia verosimile e che ci indichi la dimensione del problema.

La pressione sul sistema sanitario

Veniamo ora alle ospedalizzazioni. Come vi abbiamo raccontato negli approfondimenti precedenti su Omicron, per nostra fortuna il numero dei malati non sta salendo con la stessa velocità dei contagi, altrimenti saremmo di fronte a una catastrofe umanitaria. Omicron è molto più contagiosa delle varianti precedenti ma meno letale, e genera circa un terzo delle ospedalizzazioni rispetto a Delta, come ci indicano i dati inglesi dell’Health National Security Agency. Lo stesso report inglese ci dà un’altra indicazione nuova e molto importante: i vaccini sono efficaci e funzionano molto bene nel prevenire le ospedalizzazioni anche contro Omicron (Tabella 1).

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I numeri in tabella ci dicono che, nel prevenire le ospedalizzazioni, l’efficacia di due dosi di vaccino contro Omicron è del 72% entro le 24 settimane (contro Delta è tra il 90 e il 95%), per poi scendere al 52% dopo la venticinquesima settimana (contro Delta rimane sempre al di sopra dell’80%). La buona notizia arriva dalla terza dose, che riporta l’efficacia contro Omicron all’88% (per Delta è sopra il 95%).

In queste poche righe è racchiuso il motivo per cui, nonostante i contagi abbiano raggiunto livelli mai visti prima, gli ospedali non siano ancora in totale emergenza: grazie ai vaccini e grazie a una variante meno letale, seppur molto più contagiosa. Ma per quanto tempo ancora il sistema sanitario potrà reggere?

Anche in questo caso descrivere l’ordine di grandezza del problema è abbastanza semplice. Il numero di ospedalizzati in Italia sta aumentando con un tempo di raddoppio di circa 20 giorni, il che significa che per fine gennaio avremo un numero di pazienti ricoverati circa doppio rispetto a oggi. Gli ospedalizzati saranno oltre 30 mila e le terapie intensive oltre 3 mila. Che significa questo? Se vogliamo fare un paragone, l’ordine di grandezza è lo stesso dei picchi precedenti, quando avevamo 35 mila ospedalizzati e 4000 ricoverati in terapia intensiva e gli ospedalizzati erano in piena emergenza. Anche in questo caso, i numeri potranno oscillare in basso o più probabilmente in alto, ma è la dimensione del problema che abbiamo di fronte a doverci preoccupare. A fine gennaio gli ospedali saranno in emergenza e se non vedremo i casi scendere allora saranno guai. Il problema è che nessuno, in questo momento, è in grado di ipotizzare con precisione quando arriverà il picco, e non saranno di certo le misure varate dal governo ad aiutarci.

L’incertezza nel mondo scientifico

L’incertezza è qualcosa con cui la scienza fa i conti ogni giorno. In molti pensano – o forse sperano – di potersi rifugiare nella scienza per avere delle certezze ma così purtroppo non è, soprattutto quando ci troviamo di fronte a un fenomeno del tutto nuovo, come era il Sars-CoV-2 due anni fa, e com’è la sua variante Omicron adesso. I progressi scientifici per la lotta alla pandemia sono stati immensi: abbiamo compreso il virus e i suoi meccanismi di trasmissione e azione, abbiamo trovato dei vaccini sicuri ed efficaci in un batter d’occhio e oggi abbiamo anche delle cure, come gli anticorpi monoclonali e gli antivirali di recente approvazione anche in Italia. Ma di fronte a Omicron anche la scienza è ripiombata nell’incertezza.

Virologi ed epidemiologi osservano la sua contagiosità con estrema preoccupazione; allo stesso tempo però, le mutazioni del virus verso forme meno maligne per l’uomo, confermate da recenti studi di laboratorio, fanno ben sperare per un’uscita dall’emergenza pandemica. La verità è che anche la scienza, in questo momento, non è d’accordo su come evolverà la pandemia e su quali scenari avremo di fronte nei prossimi mesi. Omicron potrebbe essere l’inizio della fine della pandemia, è vero, ma nessuno può escludere l’innesco di nuove varianti (che infatti già si registrano), soprattutto con numeri di contagi così alti in tutto il mondo. E non possiamo sapere se le prossime varianti saranno più o meno pericolose di Omicron.

Siamo nel momento più incerto da quando è iniziata la pandemia e anche dagli scienziati in questi giorni sentiamo di tutto. Per una volta invece, dovremmo avere il coraggio di parlare con una voce unica e dire una cosa molto semplice: “questo ancora non lo sappiamo”. Non sappiamo se Omicron sarà un punto di svolta o meno, non sappiamo se arriverà una nuova variante più o meno pericolosa. Quello che certamente sappiamo, numeri e calcoli alla mano, è che gennaio sarà un mese molto difficile e dobbiamo prepararci.

In collaborazione con Francesco Luchetta

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Fisico di formazione, comunicatore scientifico di professione. Mi occupo di scienza, tecnologia, innovazione, e aiuto a comunicarle bene. Fondatore del progetto "Coronavirus - Dati e Analisi Scientifiche". Tutto su di me su giorgiosestili.it
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