Quando il 9 marzo la presidente della Corte d'Assise d'Appello Maria Grazia Vagliasindi si è collegata in video con il carcere de L'Aquila si è trovata una sedia vuota. Per la seconda volta Matteo Messina Denaro non ha voluto presenziare all'udienza del processo in cui è imputato quale mandante delle stragi del '92 di Capaci e Via D'Amelio. Ieri è andato in scena lo stesso copione del 19 gennaio, anche allora il boss di Cosa Nostra aveva preferito rimanere in cella.
E così sarà anche per le prossime udienze. Perché a Matteo Messina Denaro non gli importa difendersi, né tanto meno di spiegare perché lui è coinvolto nella morte del giudice Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E le condanne all'ergastolo lo dimostrano. Ci dovremmo aspettare quindi che il boss di Cosa Nostra compaia in video al Tribunale di Cantanissetta e ammetta che se i due giudici sono morti è stato anche per colpa sua? Oppure ci dovremmo aspettare che Matteo Messina Denaro si penta in video conferenza?
Il boss trapanese non farà nulla di tutto questo, motivo per cui non lo vedremo mai seduto su quella sedia a smentire la sentenza di primo grado: non ha nessun interesse a difendersi dal momento che non gli conviene parlare. Senza contare che se presenziare o meno al boss non cambia nulla perché dovrà comunque scontare più condanne a vita. È più facile quindi lasciare i collegamenti video ad altri detenuti.
La Giustizia lo aveva già condannato all'ergastolo in primo grado per la strage di Capaci, così come era stato già riconosciuto tra i mandati dell'attentato di via D'Amelio. La Giustizia aveva già riconosciuto che il boss trapanese ha partecipato con consapevolezza alle due stragi, dopotutto era un uomo chiave dei piani stragisti di Cosa Nostra sia al Nord che al Sud. Riina aveva scelto Matteo Messina Denaro per sparare e uccidere Giovanni Falcone a Roma ma venne richiamato in Sicilia prima che potesse premere il grilletto. Messina Denaro avrebbe progettato, insieme ad altri, anche l'omicidio di Paolo Borsellino mentre era Procuratore capo a Marsala. Poi anche in questo caso la storia andò diversamente. Il boss di Castelvetrano era anche già stato condannato per le bombe del 1993: Riina gli affidò il compito di colpire i beni artistici a Firenze, Milano e Roma.
E in trent'anni non ha mai detto il contrario, non ha mai collaborato e tanto meno non si è mai pentito. Per ora Matteo Messina Denaro risponde solo alle domande del pubblico ministero durante i loro colloqui in carcere: cosa dica non è mai stato reso pubblico. Certo è che ora il boss si presenterà davanti al giudice solo se deciderà di collaborare o pentirsi ma al momento nulla di tutto questo sembra nelle intenzioni dell'ex capo di Cosa Nostra. E per questo ora non gli interessa sedersi su una sedia ad ascoltare avvocati e magistrati. Lui è l'uomo di Cosa Nostra che ha partecipato alle stragi e al momento non si è mai preoccupato di dimostrare il contrario.