"A sinistra gli sbarchi degli albanesi in arrivo in Italia nel 1991, a destra gli sbarchi degli stessi di ritorno in Albania nel 2023". Questo sì che sarebbe stato un bel meme, a differenza di quello postato dal premier Edi Rama sulle sue pagine social (che trovate riprodotto qua sotto). Ma purtroppo non è possibile, perché quasi nessuno di quegli emigranti è tornato a viverci, se non per fare impresa. L'Albania continua a spopolarsi, anno dopo anno, registrando una delle più importanti diaspore attualmente in corso, dopo dopo Bosnia-Erzegovina e Guyana.
Ad andarsene sono soprattutto i giovani, i quali, avuti i documenti, alle prime avvisaglie di vecchiaia e malattia dei genitori, fanno le pratiche di ricongiungimento familiare per portarli in Italia, dove possono godere di cure mediche e sanità pubblica. Chi non può, fa di tutto per accaparrarsi ricette di medicinali passati con la mutua da fare recapitare ai propri parenti. Equiparare ondate di disperati in cerca di una vita dignitosa con ondate di turisti in cerca di una bella vacanza a prezzi contenuti, come ha fatto il Premier albanese Edi Rama dai suoi social, è un trick un po' semplicistico che certo fa sorridere, il tempo di una scrollata di feed.
Assistere invece alla glorificazione di un turismo per lo più straniero, che non tiene conto delle difficoltà di una classe media che prende di stipendio 300 euro al mese – e sì, per loro 15 euro di ombrellone sono troppi – non fa sorridere, per niente. Il Paese è piegato da un'inflazione altissima: come riportato dall'Osservatorio infoMercatiEsteri del Governo italiano, a ottobre 2022 ha toccato l'8%, il tasso più alto raggiunto dal 1998, praticamente all'indomani della guerra civile. Sempre nel 2022, il turismo in Albania ha portato un miliardo di Lek in entrata, pari al 17,5% del PIL nazionale, cifre destinate ad aumentare quest'anno.
Come è possibile un tale contrasto? E perché questa "turistizzazione" del Paese ha portato a concentrare i capitali anziché diffonderli? L'interrogativo chiama all'appello sia lo Stato albanese sia i privati, nazionali ed esteri, che da decenni hanno ormai il monopolio delle coste albanesi. Del resto, per dirla con il pensiero dello studioso Giacomo-Maria Salerno, parlare di turismo senza fare le dovute premesse culturali ed escludendo l’urbanistica, la psicologia di massa e la storia economica di un territorio, si riduce a un inutile esercizio di retorica e propaganda o tutt'al più a una polemichetta agostana.
E però qualcuno qui ancora se le ricorda le estati in Albania di un tempo. C'erano più rifiuti per strada, più strade malmesse, più povertà diffusa, certo, ma anche più giovani. Giovani albanesi nati e cresciuti in Albania, che lì vivevano e immaginavano, ancora, il loro futuro. Chi ha avuto la fortuna di finire l'ultimo giorno di scuola e partire all'indomani a trovare i nonni, e lì trascorrere l'estate intera, se lo ricorderà. Un po' di musica tradizionale alternata a canzoni commerciali, una vecchia palla stroboscopica e tanta, tanta spiaggia libera. Bastava una piccola rotonda sul mare per riunire in cerchio le persone, giovani e anziani, cantando "Napoloni". Un'attitudine alla vita abbacinante.
L'estate scorsa per strada di giovani c'erano invece i turisti stranieri, gli "albanesi in vacanza", con i loro neonati dai nomi "Riccardo" e "Jenny", a seconda della terra in cui ognuno si è rifatto una vita, e camerieri stremati da turni massacranti, spesso minorenni. Insomma, è vero, in Albania c'è una natura splendida. È a lei e alla proverbiale ospitalità della gente comune, gente balcanica, mediterranea, che si deve oggi questa popolarità. Ma non c'è spettacolo più bello di una terra brulicante di giovani non costretti a emigrare. Un sogno di una notte di mezza estate che nessuno ha più il coraggio di rievocare, nemmeno tra emigrati, qui, tra le pagine dei social.