Quando un’egemonia culturale sta arrivando, te ne accorgi dalle piccole cose. Dalle piccole rese su questioni che prese una alla volte sembrano piccoli cedimenti, ma che tutti assieme concorrono a plasmare lo spirito del tempo, a definire i contorni di una sconfitta politica prossima ventura. Parliamo dell’autoflagellazione di chi a sinistra si cosparge il capo di cenere per aver parlato troppo poco di Saman Abbas e delle donne vittime di femminicidio che provengono da famiglie di religione musulmana, o per aver bollato troppo presto o con troppa superficialità il suicidio di Seid Visin come risposta al razzismo della società italiana.
Sia chiaro: sappiamo bene che le sfumature e la lettura della complessità sono merce rara, dentro e fuori i giornali, dentro e fuori i social network, e che la velocità con cui produciamo opinioni a proposito dei fatti, cercando di plasmare la realtà a immagine delle nostre convinzioni è un problema che riguarda più o meno tutti, nessuno escluso. Lo sappiamo bene, ma ci sono diversi livelli di trasfigurazione dei fatti e diversi livelli di strumentalizzazione .
Ad esempio, è sbagliato dire che ci sia o ci sia stato silenzio mediatico sul più che probabile femminicidio di Saman, perché i suoi più che probabili assassini sono di religione musulmana. Al contrario, semmai, è stato dedicato fin troppo rumore mediatico su quest’ultimo dettaglio culturale-religioso, rispetto agli altri quaranta e rotti femminicidi accaduti in Italia nel 2021, per i quali non ci risulta essere stata posta tale enfasi sulla cultura-religione cattolica.
Ripetiamolo tutti assieme, già che ci siamo: Saman è stata uccisa in quanto donna che voleva emanciparsi dal patriarcato, non in quanto apostata musulmana. Eppure, nelle trasmissioni televisive, sui giornali e sulle pagine social dei politici di destra – a cominciare da quella di Matteo Salvini, ovviamente – a rimbalzare come la palla di un flipper è evidenziato solo quest’ultimo dettaglio. Strumentalizzando – qui sì, e pure tanto – una terribile storia di cronaca per dispensare islamofobia a buon mercato e per colpire la sinistra “buonista” che vuole il Dl Zan ma tace su Saman.
Lo stesso vale per l’altrettanto tragica storia del suicidio di Seid Visin. Che no, probabilmente non è morto di solo razzismo. Ma che sì, come la sua lettera dimostra, soffriva da tempo un dolore profondo per come veniva guardato e trattato in Italia. Anche in questo caso la vera strumentalizzazione sta nell’affermare che il razzismo non c’entri, nell’affermare – con un doppio salto mortale – che siccome la lettera è del 2019, allora il Seid del 2021 era una ragazzo perfettamente integrato in una società italiana del tutto diversa a quella di due anni prima. E che la sua decisione di togliersi la vita – seconda strumentalizzazione, masterclass – sia figlia delle misure restrittive imposte dal governo Conte.
E allora va bene l’autocritica, ma fino a un certo punto. Perché se di fronte a tali evidenti mistificazioni che hanno come unico intento quello di discriminare ulteriormente chi è discriminato, l’unica reazione è quella di spararsi vicendevolmente nella bolla dei troppo pochi che ancora credono nell’integrazione, nella parità di genere e nella lotta alle discriminazioni, cominciamo ad abituarci: quel che arriverà dopo sarà molto peggio. La conquista dell'egemonia culturale è precedente a quella del potere politico, scriveva qualcuno dal carcere negli anni ’20 del secolo scorso. Rileggerlo potrebbe tornare utile.