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Perché la Nature Restoration Law d’un tratto fa paura all’Europa

La Nature Restoration Law (NRL) è una legge che imporrebbe ai paesi UE obiettivi vincolanti per il ripristino degli ecosistemi degradati, ed è una delle misure giuridiche più ambiziose mai viste nella storia europea. Ora è bloccata in un’impasse, anche per scelta del governo italiano.
A cura di Fabio Deotto
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Poco più di un mese fa, nel mezzo della pioggia di cattive notizie che ha punteggiato questi ultimi mesi, abbiamo visto aprirsi un varco luminoso quando il Parlamento Europeo ha ufficialmente approvato il testo della Nature Restoration Law (NRL), una legge che imporrebbe ai paesi UE obiettivi vincolanti per il ripristino degli ecosistemi degradati.

Era un varco tutt'altro che scontato, va detto, considerando che l’iter legislativo era partito già nel 2022, che si erano alzate molte voci fuori dal coro (quella italiana in primis) e che, nonostante a novembre le misure fossero state parzialmente annacquate, la maggioranza era ancora molto risicata. Si trattava comunque di una delle misure giuridiche più ambiziose mai viste nella storia europea, e giustamente la chiusura dei lavori in parlamento è stata accolta da squilli di tromba: c’era chi parlava di “grande vittoria per la Natura”, chi individuava il primo vero passo verso la transizione ecologica, chi già si preparava a rilanciare la palla ancora più in alto, e magari a sfruttare quella sponda per integrare la salvaguardia degli ecosistemi nelle singole carte costituzionali.

Sembrava troppo bello per essere vero. E probabilmente lo era, visto che lo scorso 22 marzo, a pochi giorni dal voto finale, il Consiglio Europeo si è spaccato. Sei paesi, tra cui Olanda, Svezia, Polonia, Finlandia, Ungheria e Italia, hanno annunciato che non esistevano le condizioni per un voto di approvazione, mentre altri due, Austria e Belgio, che invece si sarebbero astenuti.

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Da un giorno all’altro una misura a cui mancava solo il sigillo finale dei singoli stati – di solito una formalità – non aveva più i numeri per essere approvata. Perché la NRL diventi legge il Consiglio deve registrare l’approvazione di almeno 15 nazioni che rappresentino il 65% della popolazione europea; le nazioni che attualmente sottoscriverebbero la legge non ne rappresentano più del 64%.

A decretare lo stallo è stata la decisione prima dell'Olanda e poi dell’Ungheria di ritirare il proprio voto favorevole alla misura. Verrebbe naturale quindi far ricadere su questi due paesi la colpa dello stallo. Ma sarebbe fuorviante: se la NRL non è ancora passata è perché in Europa esiste un fronte ormai compatto a cui questo tipo di provvedimento fa paura, e non solo per ragioni elettorali.

Le motivazioni ufficiali di chi non vuole ripristinare gli ecosistemi

Il governo guidato da Giorgia Meloni lo dice da quando si è insediato: la NRL, per quanto animata da intenzioni virtuose, propone obiettivi economicamente non sostenibili, che andrebbero a ledere settori cruciali come l’agricoltura e la pesca. Una posizione che come abbiamo già spiegato è piuttosto miope, oltre che lontana dalla realtà (dal momento che agricoltura e pesca necessitano di ecosistemi in salute per dare profitti), ma se non altro su questo aspetto il governo è sempre rimasto coerente. Lo scorso 25 marzo, il viceministro all’Ambiente e Sicurezza Vannia Gava ha ribadito il concetto sostenendo che, prima di poter votare a favore di una legge di questo tipo “Occorre una maggiore riflessione su come evitare impatti negativi su di un settore, come quello agricolo, che è cruciale per l'economia e la sicurezza alimentare dell'Italia e dell’Ue”.

L’Ungheria invece nei mesi scorsi aveva formalmente appoggiato la legge, per poi invertire la rotta adducendo motivazioni non così diverse da quelle italiane: c'è il timore dichiarato è che l’attuazione della legge generi costi aggiuntivi per il paese e per il settore agricolo in particolare, inoltre il governo di Viktor Orban ritiene che la protezione della natura sia una questione di pertinenza nazionale, e che dunque non dovrebbe essere regolata da leggi sovranazionali.

Quest’ultimo è un punto interessante, perché a giudicare dalle dichiarazioni dei ministri italiani e ungheresi sembrerebbe quasi che la NRL sia avversata unicamente per ragioni elettorali: parliamo di governi che hanno fatto del sovranismo una bandiera, è prevedibile che facciano scudo di fronte a un intervento sovranazionale su questioni riguardanti il proprio territorio, soprattutto alla vigilia delle elezioni europee.

Ma basta leggere le motivazioni ufficiali presentate dall’Olanda prima della sua inversione a U per avere il sospetto che la questione sovranista sia poco più di uno specchietto per le allodole: il problema in questo caso, stando ai documenti ufficiali, sarebbe la difficoltà di rispettare gli obiettivi presenti e futuri "nel contesto di un'alta densità di popolazione e di un'elevata pressione sull'uso del territorio causata da rivendicazioni economiche, sociali e ambientali in competizione."

Come a dire: il ripristino degli ambienti degradati è cosa giusta, utile, inaggirabile persino, ma purtroppo non profittevole. Quindi non può essere considerata una priorità. Se questo percorso di ragionamento vi sembra folle è perché lo è. Purtroppo, però, questa visione distorta della realtà sta finendo per prevalere.

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La vera ragione perché la Nature Restoration Law fa paura

In questo momento, più dell'80% degli habitat naturali UE sono pesantemente degradati, e la colpa è in massima parte delle attività umane presenti sul territorio e della sua progressiva antropizzazione. La NRL imporrebbe un ripristino del 20% delle aree terrestri e marine dell'UE entro il 2030, per arrivare a un ripristino completo entro il 2050. Nello specifico, gli stati membri dovrebbero provvedere a portare il 30% dei propri habitat (dalle foreste, ai fiumi, alle paludi) da "degradati" a "in buone condizioni", una quota che dovrebbe arrivare al 90% entro il 2050.

Questi numeri sono importanti, ma raccontano poco la realtà della questione. Chi ha interesse ad affossare la legge ne parla infatti come di una misura "ideologica", o addirittura paventando il tentativo di "far prevalere la Natura sull'essere umano", quasi la NRL nascesse solo da esigenze etiche ed estetiche. La realtà è che nessuna impresa economica può sopravvivere sul lungo termine (ma neanche sul medio, in realtà) senza un ecosistema sano e funzionale; inoltre, sappiamo che l'implementazione di regole vincolanti per il ripristino degli habitat naturali avrebbe ricadute molto positive sia in termini di nuovi posti di lavoro che di benefici economici diretti. Non è un caso che il settore privato stia mostrando sempre più interesse per il ripristino degli ambienti naturali.

Ma allora, se questa misura presenta vantaggi economici e pratici, perché viene così avversata? Per farla breve: perché rappresenta il punto di rottura dell'illusione capitalistica, la soglia oltre la quale non è più sufficiente dare una mano di verde allo status quo per regalargli altri decenni di vita. Stabilire che la tutela degli ecosistemi debba avere la priorità sugli interessi economici significa cominciare a sgretolare l'idea che la crescita economica possa essere disaccoppiata dall'ambiente in cui avviene, e che l'essere umano si possa scindere dalla natura per esercitare su di essa un totale controllo. Il problema è che questa idea, per quanto lontana dalla realtà, è da almeno due secoli la colonna portante del sistema economico e produttivo occidentale, e non può essere sostituita senza scontentare quanti per decenni hanno accumulato denaro e potere a discapito degli ecosistemi.

La NRL, per chi ha interesse a mantenere vivo questo status quo, è il cuneo che apre la prima crepa, un varco che spalancherebbe la strada a un vero cambio di paradigma. Approvare la NRL significa accettare, in linea di principio, che la tutela di una ricchezza astratta come quella monetaria debba essere subordinata alla tutela di una ricchezza reale come quella naturale. E non tutti sono pronti a farlo.

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Cosa succede ora

Da un punto di vista formale, l'approvazione della legge è stata soltanto rimandata. Il presidente di turno del Consiglio Europeo, Alain Maron, ha specificato che nelle prossime settimane lavorerà per togliere le ruote dal fango e rimettere in agenda l'adozione della legge. Ma anche se si riuscisse a sbloccare questo impasse, il problema rimarrebbe.

Se è vero che l'approvazione della NRL avrebbe aperto una crepa nel sistema, è anche vero che questo stallo rischia di aprirne una nel Green New Deal, oltre a porre una serie di interrogativi sulla stabilità del processo decisionale UE. "Sono preoccupato non solo per le conseguenze politiche della mancata conclusione di questo iter," ha dichiarato Virginijus Sinkevičius, commissario UE per l'ambiente e gli oceani, "ma anche per il segnale disastroso che questo invia in termini di credibilità e di istituzioni, soprattutto a livello internazionale."

Il fatto che lo sgambetto ungherese sia bastato a far vacillare una misura che già aveva superato il difficile dosso parlamentare, lascia pensare che l'UE non abbia le carte in regola per rappresentare un'avanguardia eco-consapevole nello scacchiere internazionale. La NRL, da questo punto di vista, non è solamente una legge per il ripristino di ecosistemi degradati, è un banco di prova. Già il fatto che il testo iniziale a novembre fosse stato depotenziato per accontentare le proteste di alcuni agricoltori non era stato un buon segnale, ma se addirittura a essere messa in discussione è la sostanza stessa della legge, allora l'Unione Europea ha un problema identitario da affrontare.

Dobbiamo decidere, e dobbiamo farlo in modo congiunto, se vogliamo prendere atto della realtà, e adottare misure con costi e ricadute calcolabili, o cullarci ancora nell'illusione che le nostre attività possano essere scisse dall'ambiente in cui prosperano, e che i conti possano essere sempre truccati per non pagare il prezzo della crescita. È una scelta di campo inaggirabile, e ormai impellente.

Per la natura le elezioni europee non sono mai state importanti come questa volta.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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