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Perché l’80% dei condizionatori in Italia va cambiato e cosa c’entra l’UE

Il regolamento approvato dal Parlamento europeo lo scorso 30 marzo prevede l’eliminazione degli F-gas entro il 2050, a partire dallo stop alla manutenzione degli impianti dal prossimo anno. A farne le spese soprattutto il settore delle pompe di calore, condizionatori e sistemi di refrigerazione. Le critiche di Confindustria e FdI.
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L’Unione europea continua il cammino lungo la strada tracciata dal Green Deal, con l'obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. A questo scopo, uno dei settori su cui sono previsti immediati e profondi interventi è quello degli idrofluorocarburi, generalmente conosciuti come “F-gas”.

Questi ultimi, come riportato dall’Agenzia europea dell’ambiente, sono “potenti gas serra, con un impatto sul riscaldamento globale addirittura maggiore di quello delle emissione di CO2”, e giocano quindi un ruolo fondamentale all’interno del più ampio processo del cambiamento climatico.

Nel regolamento approvato con una netta maggioranza lo scorso 30 marzo dal Parlamento europeo è previsto il taglio degli F-gas in molti campi entro il 2030, verso la loro completa eliminazione per la metà del secolo.

Ma in Italia questa nuova stretta accende le polemiche, poiché andrebbe a colpire principalmente il settore delle pompe di calore e caldaie a gas, dei condizionatori e dei sistemi di refrigerazione, con un profondo impatto sia per il mondo della produzione, sia per le realtà che ruotano intorno al lavoro di manutenzione.

In particolare, l’Unione vorrebbe vietare assistenza e manutenzione degli impianti a base di gas fluorurati già dal 2024, spingendo così rapidamente verso una loro completa sostituzione. A farne le spese un ampio ventaglio di settori: dagli ospedali all’industria alimentare, dai supermercati agli uffici.

Sarebbe, quindi, troppo duro il colpo per l’economia nazionale: secondo una stima riportata dal Messaggero, “il settore che si occupa della manutenzione o della riconversione di tutti questi impianti contribuisce al Pil italiano per lo 0,5%, un volume d’affari pari a circa 8 miliardi di euro e impiega fino a 140mila persone”. Sempre secondo il quotidiano romano, sarebbero più di 8 ogni 10 i condizionatori attualmente in funzione da sostituire.

Tra le voci più autorevoli che si sono levate in Italia in opposizione alla nuova stretta europea, Confindustria in una nota ufficiale esprime “una forte preoccupazione rispetto alla proposta della Commissione”, poiché un tale regolamento non sarebbe “efficace, pragmatico e attuabile”.

Il rischio denunciato dagli industriali è quello di “aumentare le importazioni illegali di HFC (gas refrigeranti idrofluorocarburi), di ridurre gli investimenti nel settore manifatturiero dell’UE e di continuare a dipendere dai combustibili fossili a causa della mancanza di soluzioni alternative diversificate e a prezzi accessibili”.

I suggerimenti presentati dalla Confederazione generale dell’industria italiana riguardano quindi una modifica degli obiettivi sul breve termine, lo stanziamento di importanti investimenti e tempistiche più ampie per la formazione di tecnici e un ripensamento del proposto divieto delle esportazioni al di fuori dell’Europa.

A scagliarsi contro il regolamento è anche il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, che durante la riunione delle Commissioni Ambiente e Attività produttive ha presentato una risoluzione per portare avanti la “battaglia dei condizionatori”.

L’Italia si prepara quindi a puntare i piedi contro la risoluzione europea: “Pur contenendo obiettivi ambientali  pienamente condivisibili, la proposta produrrà effetti dannosi, finendo per danneggiare la filiera nazionale della refrigerazione e del condizionamento, ambito nel quale l’Italia è guida in Europa e nel mondo”.

Il testo è stato sì approvato dal Parlamento europeo, ma si prevedono ora intense trattative tra istituzioni e aziende europee del settore.

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