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Covid 19

Perché in autunno è probabile dovremo fare la terza dose di vaccino contro il Covid-19

È aperto tra gli esperti il dibattito su una possibile terza dose di vaccino anti Covid in autunno per aumentare la protezione contro le varianti, in particolare nelle persone fragili e negli over 60, più a rischio di sviluppare la forma grave della malattia se contagiati. Da Pregliasco a Crisanti, passando per Le Foche e Sileri, tutti considerano questa ipotesi verosimile, anche se bisogna aspettare i dati di Israele: ecco perché.
A cura di Ida Artiaco
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Non è ancora terminata la campagna di vaccinazione che già si comincia a pensare ad una terza, possibile dose di vaccino anti Covid dal prossimo autunno per aumentare la protezione contro le varianti del virus. Anche se l'Ema si è già espressa sul tema sottolineando che al momento "è troppo presto per confermare se e quando ci sarà bisogno di una dose di richiamo, perché non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne vaccinali", il dibattito è più che mai aperto tra gli esperti. Anche perché da domenica parte la campagna per la cosiddetta dose booster in Israele per le persone fragili e di età superiore ai 60, quindi più esposte alle forme gravi della malattia. "La realtà dimostra che i vaccini sono sani e dimostra che proteggono dalla forma grave della malattia e dalla morte. In questo caso vale ciò che accade per il vaccino contro l'influenza, che va rifatto di volta in volta", ha detto il primo ministro Naftali Bennett. Ma cosa ne pensano in Italia?

Un paragone col vaccino influenzale è stato fatto dal virologo Fabrizio Pregliasco. "Bisognerà valutare se l'infezione ancora si diffonderà ampiamente e poi a chi a somministrare la terza dose. Penso che in primis vada ai soggetti fragili e più esposti, in una strategia simile a quella della vaccinazione antinfluenzale. Poi si vedrà alla luce di una evoluzione che potrebbe rendere necessario ancora un rinforzo per tutti". Anche per Francesco Le Foche, immunologo del Policlinico Umberto I di Roma, "verosimilmente avremo bisogno di una terza dose per le persone che assumono farmaci immunosoppressivi (che deprimono, cioè, il sistema immunitario, ndr), per i trapiantati e per persone con patologie particolari (come malattie autoimmuni o patologie infiammatorie croniche) in cui la risposta al vaccino può essere ridotta". Ad Israele guarda anche Andrea Crisanti, microbiologo dell'università di Padova: "Il dibattito sulla terza dose è giusto che sia iniziato. Israele ha iniziato con la terza dose e noi tra un mese e mezzo avremo abbastanza dati per capire l'impatto della terza dose. Siamo su un terreno sconosciuto e non possiamo inventarci nulla. I dati sono la cosa più importante per tracciare la strada altrimenti si improvvisa, e io non penso che in sanità pubblica si possa improvvisare".

Al momento, dunque, non c'è nulla di certo. Ma anche per il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri la strada sembra essere quella di un ulteriore richiamo. "Una quota della popolazione può avere una riduzione degli anticorpi dopo 6 mesi, significa che in quelle persone bisognerà fare un richiamo. È possibile che ogni anno si debba fare un richiamo come per l'influenza". Sileri ha inoltre detto alle agenzie di stampa di aver "scritto più volte alla Direzione generale della prevenzione del ministero della Salute, sollecitando un provvedimento che preveda la terza dose per coloro che hanno problemi immunologici e coloro che presentano gravi fragilità e di aver sollecitato affinché venga predisposto un atto analogo per tutti coloro che hanno fatto il vaccino ad inizio della campagna vaccinale, come ad esempio gli operatori sanitari".

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