Sedici vittime, sette coppie e due amici che campeggiavano, scambiati per una coppia vista la capigliatura di uno dei due, uccisi nelle campagne fiorentine tra il 1968 ed il 1985. Una scia di sangue tenuta insieme da un’arma, una Beretta calibro 22 i cui bossoli riportano una H impressa sul fondello. Un’arma che compare per la prima volta nel duplice omicidio di Antonio Lo Bianco e Barbare Locci, avvenuto il 21 agosto 1968.
Barbara è una donna sposata e viene uccisa quando è appartata con l'amante mentre suo figlio Natalino dorme sul sedile posteriore. È proprio il bimbo a far ritrovare i corpi, presentandosi in piena notte alla porta di una abitazione vicina al luogo in cui era avvenuto il delitto chiedendo di essere riaccompagnato a casa, “perché c’è la mia mamma e lo zio che sono morti in macchina”.
Per quell’omicidio, nel 1968 era stato arrestato Stefano Mele, il marito di Barbara, che aveva confessato facendo il nome di Francesco Vinci, come colui che gli aveva procurato l’arma. Quando nel 1982, questo duplice omicidio viene ricollegato a quelli di altre tre coppie uccise con la stessa arma, l’indagine sembra essere a una svolta perché Vinci viene formalmente indagato per gli omicidi commessi dal Mostro di Firenze, ma nel 1983 il killer uccide ancora.
ll modus operandi è sempre lo stesso, le vittime vengono attinte da numerosi colpi di pistola e poi finite, soprattutto le ragazze, con colpi di arma bianca, il killer si accanisce sui corpi anche dopo la morte.
Era stato così nel duplice omicidio del 1974 nel corso del quale Pasquale Gentilcore era stato ucciso da numerosi colpi di arma da fuoco mentre Stefania Pettini aveva ricevuto 97 coltellate, così nell’omicidio del 6 giugno 1981 quando Giovanni Foggi veniva ucciso con quattro colpi di arma da fuoco mentre Carmela Di Nuccio veniva ammazzata a colpi di pistola e coltello, poi veniva trascinata fuori dall’auto e lì le recidevano il pube.
Nell’omicidio del 23 ottobre 1981 le modalità sono le stesse e la firma pure, Stefano Baldi e Susanna Cambi vengono uccisi a colpi di pistola e coltello, anche a Susanna viene asportato il pube. Il Mostro inizia a procurarsi macabri feticci.
Il 9 novembre 1983 è la volta dei due ragazzi tedeschi, dei due uno forse, come dicevamo, viene scambiato per una ragazza, in questo caso però il Mostro non può porre in essere il suo rituale.
Colpisce ancora il 30 luglio del 1984, Claudio e Pia sono appartati come le altre coppie, a Pia oltre al pube, viene asportato anche il seno sinistro. L’ultimo delitto attribuito al Mostro di Firenze è quello dell’8 settembre 1985, ad esser uccisi questa volta sono Jean Michel e Nadine, una coppia di turisti francesi che si erano accampati nella campagna di San Casciano.
Jean Michel viene ferito ma non muore, tenta di fuggire per salvarsi, il Mostro lo raggiunge e lo uccide con un’arma bianca, forse ha finito i proiettili. Tra i due ci sarebbe stata una colluttazione. Nadine viene mutilata, ma il suo corpo questa volta viene poi riportato all’interno della tenda e coperto con un sacco a pelo, forse per ritardare il ritrovamento del cadavere e avere il tempo di lasciare un messaggio che verrà recapitato alla Pm titolare delle indagini.
Il messaggio è contenuto in una busta insieme a un lembo del seno di Nadine. Per quegli omicidi sono stati condannati Mario Vanni e Giovanni Lotti, rispettivamente all’ergastolo e a 26 anni di reclusione, mentre Pietro Pacciani, condannato in primo grado ed assolto in Appello è morto attendendo il nuovo processo di Appello dopo che la Cassazione aveva annullato l’assoluzione. Ad incastrarlo ci sarebbe stato il rinvenimento, nel corso di un sopralluogo nella sua abitazione di un proiettile con una H incisa sul fondello, ma inesploso.
Una condanna che ha da sempre continuato a dividere l’opinione pubblica, tra coloro i quali ritengono che sia stata fatta giustizia, chi pensa che dietro ai “compagni di merenda” ci fosse un secondo livello che commissionava gli omicidi e del quale non sono mai state accertate le identità, e chi ritiene che il Mostro di Firenze sia un unico serial killer, come risultava dalla prima profilazione prodotta dall’FBI.
Un serial killer che avrebbe agito da solo, in una specifica area geografica, con uno stesso modus operandi e una firma che si sarebbero, come sempre avviene, modificati e affinati con il tempo.
È di questi giorni una notizia che potrebbe far riaprire il caso, per effettuare esami e comparazioni nella speranza di riuscire a dare un volto, un’identità al Mostro di Firenze, a partire da un profilo di DNA ricorrente in diverse delle scene del crimine.
Infatti l’avvocato dei parenti delle vittime francesi, che pertanto non si sarebbero accontentati della risposta che la Giustizia italiana ha offerto loro, ha nominato un ematologo, Lorenzo Iovino, per esaminare una traccia di DNA rinvenuta sul reperto V3, cioè un’ogiva di un proiettile rinvenuto nel cuscino della tenda dei due turisti francesi.
Quel reperto era stato ritrovato nel cuscino già nel 2015 ed era stato affidato al RIS di Roma, fino a quando la Procura di Firenze non aveva conferito l’incarico al consulente balistico Paride Minervini, affinché effettuasse una perizia su quel reperto e su tutti gli altri reperti balistici rinvenuti sulle altre scene del crimine.
Sarà però il dottor Ugo Ricci, altro consulente nominato dalla Procura ad estrapolare da quel reperto una traccia mista, dalla quale viene isolato un profilo genetico che risulta presente anche in altri reperti. Tramite comparazione si scopre che il profilo genetico appartiene però al consulente balistico Minervini ed è pertanto frutto di una contaminazione.
Il dottor Iovino, da quella traccia mista è riuscito a scorporare il DNA di Minervini isolando un altro profilo genetico. Questo profilo genetico ignoto, presente sul reperto V3, sarebbe presente anche su altri due reperti rinvenuti sulle scene del crimine dei duplici omicidi del 1983 e del 1984 e non sarebbe compatibile né con i DNA delle vittime né con quello di alcuni indagati.
Potrebbe trattarsi del DNA del Mostro di Firenze che lo stesso potrebbe aver lasciato molti anni prima sui proiettili mentre caricava l’arma? Sicuramente l’evoluzione delle scienze forensi consentirebbe oggi di effettuare esami e comparazioni impensabili negli anni in cui il Mostro era in azione. Infatti, un’ulteriore ipotesi investigativa prevederebbe l’esumazione dei resti cadaverici di Jean Michel e di Stefania Pettini (uccisa nel duplice omicidio del 1974) perché entrambi avrebbero tentato una disperata fuga e avrebbero avuto una colluttazione con il killer.
Si andrebbe pertanto a ricercare la presenza di tracce di DNA del Mostro nel materiale subunguale delle due vittime nella speranza di poter trovare campioni biologici da analizzare.
Questa ipotesi, che appare doverosa vista la gravità dei fatti e i dubbi che ancora aleggiano intorno a questa vicenda, deve però fare i conti, oltre che con il tempo trascorso, anche con le modalità con cui, negli anni degli omicidi, venivano effettuati i sopralluoghi sulle scene del crimine e venivano esaminati e conservati corpi e reperti.
Le immagini di allora ci restituiscono fotografie precise, che evidenziano quante persone si siano succedute su quelle scene del crimine e siano venute in contatto con i corpi delle vittime andando a contaminare e ad alterare quelle stesse scene. Il resto potrebbe averlo farlo il tempo e il deterioramento dei resti cadaverici.
Ciò non toglie che la presenza di un DNA ignoto su tre delle otto scene del crimine attribuite al Mostro di Firenze appare un elemento di tale rilevanza da non poter essere trascurato.