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Perché il relitto di un barcone in piazza Duomo è un’idea fantastica

Viviamo di fatti, e i simboli servono a ricordarceli. I simboli hanno premura e diligenza di qualcosa. I simboli non accartocciano la memoria in un angolo, non emarginano il contesto, non semplificano l’alternativa. I simboli curano il pensiero.
A cura di Saverio Tommasi
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Il relitto del barcone sulla terraferma (@Andrea Di Grazia/Lapresse)
Il relitto del barcone sulla terraferma (@Andrea Di Grazia/Lapresse)

C'è un'idea, ed è quella di portare un relitto di mare sulla terra ferma, in piazza Duomo a Milano. Il relitto del più grande naufragio della storia dell'immigrazione nel mar Mediterraneo, almeno 700 morti. Forse 900. Un relitto recuperato a 375 metri di profondità, in un'operazione che mi ha fatto sentire, per una volta, orgoglioso del mio Paese, che recuperando il relitto ha scelto la strada poco battuta dell'azione senza il tornaconto. Un'azione che ora potrà servire a far inciampare il popolo nella memoria, pensando ai vivi, che è il miglior modo di pensare ai morti, come diceva un grande presidente. Quell'operazione di recupero fu un simbolo, e sarebbe un simbolo portare quel relitto in piazza Duomo a Milano.

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Viviamo di fatti, e i simboli servono a ricordarceli. I simboli hanno premura e diligenza di qualcosa. I simboli non accartocciano la memoria in un angolo, non emarginano il contesto, non semplificano l'alternativa. I simboli curano il pensiero.
Certo, i simboli vanno saputi leggere, e va conservata la capacità di restare ad almeno cento metri dall'estetica del dolore. Perché non si finisca per beatificarsi nella capacità di rappresentazione, "e non ci si faccia strada con i poveri ma si faccia strada per i poveri" come diceva un prete che credeva nella scuola.

Sullo scalino largo di una Cassa di Risparmio dormiva un clochard, sui suoi cartoni, vicino casa mia. Passando sulla strada si leggeva la scritta Banca, in caratteri grandi, definiti, romani. Sotto c'era il vetro antiproiettile, e sotto ancora c'era lui, l'uomo con i suoi cartoni. Indefinito, con una linea di confusione fra la fine dei suoi maglioni e l'inizio delle sue coperte. Era un'immagine vera ma anche stramaledettamente simbolica; la colpa della condizione dell'uomo dei cartoni non era della Cassa di Risparmio, di quella Banca specifica di periferia, che tra l'altro era anche la Banca che conservava le mie due lire. Però, ne era il simbolo.
Per questo, io che dimentico dove parcheggio, cosa mangio e i nomi delle persone, quel simbolo lo ricordo dopo vent'anni. Per questo amo i simboli, perché il loro pensiero mi rimette in carreggiata, quando mi distraggo e sbando.

Viviamo di fatti, e i simboli servono a evidenziarli. Bisogna saperli vedere, però, e quando non siamo in grado di scorgerli, i simboli, c'è bisogno che qualcuno ce li indichi. Come una scultura da un pezzo di marmo, si tratta di levare il superfluo per far nascere qualcosa che riesca a farci riflettere. Come un romanzo, le cui parole sono già contenute in tutti i libri del mondo, ma è la consequenzialità creata dallo scrittore, a superare la successione ordinata del vocabolario; serve confusione di elementi, per creare il simbolo.

A Firenze, Ai Weiwei ha fatto installare ventidue gommoni arancioni sulle bifore del secondo piano di Palazzo Strozzi, il capolavoro dell'architettura rinascimentale. Perché la storia, senza l'attualità, sarebbe una mera nozione mnemonica, una successione passata di azioni che varrebbe la pena ricordare meno delle briscole passate durante il gioco delle carte. E' quando si inzuppa dell'oggi che lo ieri avvalora le sue ragione di racconto e di memoria.
Quei gommoni sulle cornici di Palazzo Strozzi oggi sono simboli, sono vite, sudore, speranze, sangue, merda, acqua salata e Rinascimento. Sono essenziali, oggi, quei gommoni.

In tutto il mondo, Gunter Demnig ha ideato le Pietre d'inciampo. Dieci centimetri di altezza e dieci centimetri di base, la dimensione di un sampietrino. Sopra, ottone. E sopra l'ottone il nome di una persona, l'anno di nascita, il luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. Il sampietrino viene posto sulla strada, sul selciato, inserito nel tessuto urbano e sociale nelle vicinanze delle case delle vittime del nazifascismo. Per inciampare nella memoria. Anche a Roma, dove alcune di queste Pietre d'inciampo furono divelte. Perché quelle Pietre sono simboli, e rappresentano altro da se stesse, raccontano una storia più grande di un pezzo di ottone inciso, raccontano una storia che qualcuno preferirebbe non raccontare, come il relitto in piazza Duomo, a Milano, qualcuno preferirebbe non metterlo.

Ad Amsterdam c'era un albero, era un ippocastano. Era l'albero più vecchio di Amsterdam, aveva 170 anni, e il 23 agosto 2010, era l'ora di pranzo, il tronco dell'ippocastano si ruppe a circa un metro dal suolo, e l'albero cadde. Era l'ippocastano che Anne Frank racconta nel suo diario, durante gli oltre due anni di clandestinità. Anne Frank racconta dell'albero per tre volte, l'ultima scrive: "“Il nostro castagno è in piena fioritura dai rami più bassi alla cima, è carico di foglie e molto più bello dell’anno scorso”. Era l'idea di libertà di Anne Frank, quell'albero.
La Fondazione Anne Frank ha raccolto le castagne di quell'albero, cioè i suoi semi, e da quei semi stanno nascendo degli alberi che la fondazione sta donando alle scuole che portano il nome di Anne Frank, in tutto il mondo. E dalle castagne da cui sono nati i primi alberi stanno nascendo altri alberi ancora. Sono un simbolo, gli ippocastani, le castagne e i semi. E servono per ricordarci una storia e la necessità del suo racconto, semplicemente perché l'umanità non può più farne a meno.

Io spero che il relitto di quella grande barca, in piazza Duomo a Milano, ci arrivi davvero. Spero che chi si adopera per la ripetizione dei più tragici fatti dell'umanità, cambiandogli solo il nome, sia messo in minoranza. Si tratterebbe di un'istallazione temporanea, di un inciampo nella memoria, appunto. Perché in quel relitto tirato fuori da 375 metri di profondità sono stati trovati settecento pezzettini di persone. Documenti, scarpe e sacchettini di terra nelle tasche dei pantaloni dei morti. E la pagella di un ragazzino, in una busta di plastica cucita sulla sua maglietta. E quel relitto, in piazza Duomo a Milano, servirebbe a ricordarci che in questo momento qualcun altro sta per partire, qualcuno uguale al ragazzino con la pagella cucina sulla maglietta, e che se parte è più colpa nostra che scelta sua, e se per ricordarcene abbiamo bisogno di simboli, benvenuti simboli.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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