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Covid 19

Perché il governo ha decretato la fine dello stato di emergenza legato alla pandemia Covid19

Proviamo a capire quali sono stati gli elementi scientifici ed epidemiologici che hanno determinato la scelta del governo di decretare la fine dello stato di emergenza e cosa può accadere nelle prossime settimane.
A cura di Giorgio Sestili
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Proprio nel momento in cui l’epidemia in Italia torna ad accelerare, il governo dichiara la fine dello stato di emergenza. Sembra un ossimoro ma in realtà è il frutto di un insieme di fattori: valutazioni politiche, esigenze economiche e report scientifici a nostra disposizione. Gli incaponiti No Vax stanno già urlando che siamo stati presi in giro, che quindi le misure adottate contro la pandemia sono state inutili, che i vaccini non funzionano e che siamo vittime di una dittatura sanitaria, ma la realtà è un’altra e come sempre è ben più complessa e articolata di come spesso viene descritta.

Facciamo quindi il punto sulla situazione epidemiologica in Italia e capiamo poi quali sono i fattori che hanno orientato il governo nel decretare la fine dell’emergenza.

L’andamento dell’epidemia in Italia

L’ultima settimana ha visto un’ulteriore accelerazione nell’aumento dei casi positivi rilevati: +47% rispetto ai setti giorni precedenti (dati aggiornati al 17 marzo). Al momento l’epidemia sta avanzando con un tempo di raddoppio di circa due settimane, il che significa che ogni 14 giorni i casi rilevati raddoppiano. Un tempo di raddoppio notevole ma per fortuna, come si vede dal Grafico 1, la velocità di crescita sembra che stia rallentando.

Come avevamo previsto nell’analisi della scorsa settimana, le ospedalizzazioni hanno smesso di scendere: -1% negli ultimi sette giorni, praticamente lo stesso numero della settimana precedente dopo che per circa due mesi abbiamo visto una notevole discesa dei posti letto occupati da pazienti Covid-19. Rallenta anche la discesa dei posti letto occupati in terapia intensiva e dei deceduti: per entrambi il dato settimanale è – 13%.

Dietro queste percentuali apparentemente asettiche, il dato che va sottolineato è che nell’ultima settimana sono morte di Covid-19 altre 949 persone, segno che questo virus è lontanissimo, in quanto a pericolosità, dall’influenza. Allargando un po’ lo sguardo, vediamo che tra il 14 gennaio e il 13 febbraio 2022 in Italia sono morte (dati Iss):

  • 2655 persone non vaccinate su una popolazione di 5 milioni e mezzo di persone che hanno rifiutato il vaccino;
  • 284 vaccinati con una dose su una popolazione di un milione e mezzo;
  • 2378 vaccinati con due dosi su una popolazione di 21 milioni;
  • 2613 vaccinati con dose aggiuntiva/booster su una popolazione complessiva di 26 milioni;

Con questi numeri basta fare delle semplici operazioni da quinta elementare per scoprire che il tasso di mortalità standardizzato per età, relativo alla popolazione maggiore di 12 anni, per un non vaccinato è 15 volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster. Si capisce così quanto siano importanti i vaccini nel prevenire la malattia grave e il decesso, anche contro le nuove varianti Omicron e Omicron 2, contro cui i vaccini mantengono un’efficacia elevatissima (ne abbiamo parlato la scorsa settimana).

Per quanto riguarda la campagna vaccinale, l’85,6% della popolazione italiana ha iniziato il ciclo primario, l’83,8% lo ha concluso e il 64,8% ha ricevuto una dose di richiamo. I guariti sono il 4,1% della popolazione. Nell’ultima settimana sono state effettuate solo 3200 prime dosi, segno che oramai lo zoccolo duro No Vax non è più scalfibile. Non solo l’obbligo vaccinale per gli over 50, ma nemmeno il nuovo vaccino Novavax è riuscito a convincere gli scettici. Possiamo quindi supporre che la popolazione italiana vaccinata contro il Covid rimarrà pressoché l’attuale 85% e che lo sforzo andrà fatto per vaccinare con dose aggiuntiva il circa 20% di persone che ancora non hanno effettuato il richiamo.

Tornano a salire, seppur di poco, i tamponi effettuati: circa 500 mila al giorno, ancora ben lontani dai picchi di un milione e mezzo registrati a gennaio. E proprio il numero di tamponi effettuati merita un’analisi approfondita.

Fare pochi tamponi, ovvero non imparare dagli errori

Una delle regole portanti per la gestione di una pandemia, e che oramai dovremmo tutti aver imparato, è che è soprattutto nelle fasi di bassa circolazione del virus che è importante fare tanti tamponi. Primo, perché in questo modo è possibile avere un alto livello di monitoraggio, fare contact tracing e quindi anticipare le mosse del virus invece di rincorrerlo. Secondo, perché se il numero di contagi è basso è possibile fare tamponi a campione, dunque screening, e rilevare i soggetti asintomatici ma comunque contagiosi. Anche questa volta, in Italia questo non è stato fatto. Quando aumentano i tamponi è perché ci sono tanti sintomatici che si mettono in fila alle farmacie o nei drive-in, e non perché qualcuno stia facendo attività cicliche di screening, cosa che invece accade in Danimarca e Regno Unito, da cui non a caso provengono sempre i dati più accurati.

Il numero di tamponi effettuati in Italia è diminuito dal picco di 7 milioni e mezzo nella settimana 8-14 gennaio, fino ai 2 milioni e mezzo del periodo 26 febbraio – 4 marzo. Un calo del 65% che ha accompagnato, per non dire quasi replicato, la parallela diminuzione dei nuovi casi individuati: -76% (vedi Grafico 1 in basso). Legare il numero di tamponi effettuati all’andamento dell’epidemia invece che mantenerlo sempre alto e costante ha numerose implicazioni:

1. I dati non sono affidabili, il numero di positivi rilevato è sempre ampiamente sottostimato e quindi ogni elaborazione statistica, seppur tecnicamente corretta, non fotografa la realtà epidemica.

2. Se cerchiamo meno virus è ovvio che ne troviamo meno. Ma di virus in realtà ce n’è molto di più, basta dire che i dati Iss mostrano circa un 71% di asintomatici. In questo modo si lascia spazio al virus di replicarsi in maniera incontrastata, senza avere la possibilità di accorgersene se non quando il numero di sintomatici diventa rilevante, come sta di nuovo avvenendo da due settimane a questa parte. E allora le persone tornano spontaneamente a farsi i tamponi, il tasso di positività aumenta e a seguire anche le ospedalizzazioni. Il solito film visto e rivisto, in cui siamo sempre noi ad inseguire il virus.

3. Non fare tamponi, soprattutto i molecolari, rende impossibile il sequenziamento, ovvero l’individuazione di nuove varianti. Anche in questo caso Danimarca e UK hanno moltissimo da insegnarci.

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Cosa ci aspetta: semplice recrudescenza o nuova ondata?

Difficile rispondere a questa domanda e fare previsioni, tanto più per le considerazioni appena fatte sulla mancanza di dati. Ancora una volta quindi guardiamo all’estero e ancora una volta alla Danimarca e al Regno Unito.

In Danimarca il secondo picco di quest’anno è stato raggiunto a metà febbraio, a sole due settimane dal primo picco. In UK invece sembra che il picco si sia raggiunto proprio in questi giorni e stiamo aspettando i dati della prossima settimana per poter dire se i casi scenderanno o meno. Se così fosse avremmo un picco circa dimezzato rispetto a quello causato da Omicron 1.

I parallelismi vanno sempre presi con le molle, però in questi due anni di pandemia è spesso successo che Paesi “in ritardo” rispetto alla circolazione del virus o alla diffusione di una variante, seguissero poi abbastanza fedelmente l’andamento dei Paesi “in anticipo”. Se così fosse, in Italia potremmo vedere i contagi salire ancora per un po’, fino a circa la metà rispetto al picco di gennaio, e cominciare a vedere la discesa nel mese di aprile. Magari anche aiutati dall’arrivo di temperature più miti e quindi dal cambiamento delle nostre abitudini, e sappiamo quanto stare all’aperto riduca la possibilità di contagio.

Staremo a vedere. Sta di fatto che questi sono gli elementi scientifici ed epidemiologici che hanno determinato la scelta del governo di decretare la fine dello stato di emergenza. Uniti, senza dubbio, al contesto geopolitico ed economico internazionale.

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Fisico di formazione, comunicatore scientifico di professione. Mi occupo di scienza, tecnologia, innovazione, e aiuto a comunicarle bene. Fondatore del progetto "Coronavirus - Dati e Analisi Scientifiche". Tutto su di me su giorgiosestili.it
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