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Omicidio Giulia Cecchettin

Perché il colloquio tra Filippo Turetta e il padre è finito negli atti del processo per il caso Cecchettin

I motivi per cui il colloquio tra Filippo Turetta, in carcere per l’omicidio di Giulia Cecchettin, e i genitori è finito negli atti del processo che si apre il 23 settembre: “Ha ammesso di non aver detto tutto al suo avvocato”.
A cura di Ida Artiaco
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Nicola e Filippo Turetta
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Ci sarebbe più di un motivo per cui il colloquio del 3 dicembre scorso tenutosi nel carcere di Montorio tra Filippo Turetta, accusato dell'omicidio dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin, e i genitori è finito negli atti del processo che si aprirà il prossimo 23 settembre. In primis, non avrebbe raccontato tutto al suo avvocato e inoltre, rispondendo al papà, il 22enne parebbe escludere l'accenno alla possibile incapacità di intendere e volere. Ma facciamo un passo indietro.

L'incontro tra Filippo Turetta e i genitori è finito su tutti i giornali soprattutto per le frasi pronunciate dal padre Nicola: "Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista. Devi farti forza. Non sei l'unico, ci sono altri 200 femminicidi". Il quale si è poi scusato affermando di provare imbarazzo e di aver detto quelle "fesserie" perché era preoccupato che il figlio si togliesse la vita. La pubblicazione di quel colloquio ha scatenato una serie di polemiche e la protesta soprattutto degli organi rappresentativi della categoria degli avvocati. Ieri anche l’Ordine di Venezia ha "stigmatizzato la pubblicazione, "a maggior ragione a ridosso dell’apertura della fase dibattimentale. Sono io che chiedo scusa a lei, signor Turetta", ha detto l’ex presidente dell’Unione camere penali Gian Domenico Caiazza.

Ma, anche se a prendersi la scena sono state le dichiarazioni di Nicola Turetta, i motivi per cui quel colloquio è finito agli atti restano e sono stati spiegati dal Corriere del Veneto. Da un lato Filippo Turetta avrebbe dichiarato di non aver riferito tutto all'avvocato Giovanni Caruso e, di conseguenza, al pm Andrea Petroni, che un paio di giorni prima l’aveva interrogato su quanto successo l'11 novembre. Dall'altro, in un altro passaggio – quando il padre gli dice "non sei stato te, non ti devi dare colpe perché tu non potevi controllarti" – lui, secondo quanto riportato dai carabinieri, scuote la testa e dice: "Non è così". Per gli inquirenti, infatti, "è rilevante che poche settimane dopo il delitto il ragazzo sembrasse non dare seguito alla suggestione del padre su una possibile incapacità di intendere e di volere".

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