Perché Filippo Turetta ha reso dichiarazioni spontanee davanti al Gip: l’analisi dell’esperto
"Nell'interrogatorio di oggi davanti al gip Filippo Turetta ha preferito restare in silenzio, evitando di offrire elementi che avrebbero potuto essere utilizzati contro di lui dall’accusa. In questo modo ha scelto di non collaborare. Rendendo dichiarazioni spontanee, ha evitato il confronto, non sottoponendosi alle domande dell’Autorità Giudiziaria".
Così Daniele Bocciolini, avvocato penalista, esperto in diritto penale minorile e Scienze Forensi, Consigliere Pari Opportunità e Commissione Famiglia e Minori dell'Ordine degli Avvocati di Roma, ha spiegato a Fanpage.it la linea difensiva scelta da Filippo Turetta e dal suo avvocato, Giovanni Caruso. Il giovane, 22 anni il prossimo dicembre, è indagato per l'omicidio dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin. Oggi, davanti al Gip, presso il carcere di Verona, dove è detenuto, ha reso dichiarazioni spontanee ammettendo di aver ucciso la ragazza.
Come giudica la strategia difensiva di Turetta?
"Era ampiamente prevedibile che l’indagato si avvalesse della facoltà di non rispondere. Il diritto al silenzio evita che si possa obbligare la persona a fare delle dichiarazioni contro se stesso, spingendolo ad una falsa autoincriminazione. Questo probabilmente anche su consiglio dell'avvocato dal momento che non è avvenuta ancora la cosiddetta “discovery”: la difesa non è a conoscenza degli elementi in possesso della Procura.
Nel caso di specie, peraltro, alcuni accertamenti devono ancora essere effettuati (ad esempio, fondamentale sarà l’esame autoptico sul corpo di Giulia, che si terrà venerdì). Per questo, allo stato, non essendo ancora completo il quadro accusatorio, Turetta ha preferito restare in silenzio, evitando di offrire elementi che avrebbero potuto essere utilizzati contro di lui dall’accusa. In questo modo ha scelto di non collaborare, anteponendo il diritto difensivo di non fornire elementi di prova in suo danno".
Il ragazzo si è avvalso della facoltà di non rispondere ma ha reso dichiarazioni spontanee. Non aveva altra possibilità?
"L’alternativa era scegliere di rispondere integralmente a tutte le domande così offrendo la massima collaborazione oppure di rispondere solo parzialmente ad alcune domande a scelta, avvalendosi per le altre della facoltà di non rispondere. In tutti i casi, ricordo che l’indagato così come l’imputato hanno, a differenza dei testimoni, la facoltà di mentire, sempre alla luce del principio secondo il quale nessuno può essere costretto a rendere dichiarazioni contro se stesso.
Rendendo dichiarazioni spontanee, ha evitato il confronto, non sottoponendosi alle domande dell’Autorità Giudiziaria. Quanto dichiarato ha comunque gli stessi effetti dell’interrogatorio, ed è perciò utilizzabile".
Cosa significa e quali conseguenze ciò potrebbe avere in un eventuale processo?
"In sostanza, il fatto che si sia avvalso della facoltà di non rispondere, essendo un diritto riconosciuto all’indagato, non potrà essere considerato un elemento a suo sfavore; al contrario, avendo – seppur genericamente – ammesso il fatto contestato, questa circostanza potrà essere certamente utilizzata contro di lui anche nelle fasi successive".
Si può parlare tecnicamente di confessione in questo caso?
"Nel nostro ordinamento non esiste una definizione tecnica di confessione. In questo caso, si tratta certamente di dichiarazioni autoaccusatorie avendo l’indagato ammesso l’addebito. Diversamente da quello che si possa immaginare, la confessione non riveste un ruolo primario. Tuttavia, può essere un elemento utile per fondare il convincimento del giudice in ordine alla colpevolezza anche se deve essere valutata attentamente in ordine alla veridicità, genuinità e attendibilità.
Nel caso di specie, la mera ammissione dell’omicidio si pone come una circostanza neutrale, non rappresentando un contributo particolare alle indagini, essendo stata sin dall’inizio delle indagini abbastanza chiara la responsabilità del Turetta. Al contrario, l’indagato, se davvero fosse pentito, potrebbe impegnarsi per ricostruire tutti i dettagli della condotta posta in essere. Ricordo che Turetta, probabilmente allo stato ancora scosso, può chiedere di essere sentito in qualsiasi momento. In questo caso, offrirebbe realmente una collaborazione utile anche all’attività degli inquirenti, oltre che a far emergere la verità su quanto accaduto a Giulia.
È chiaro che, ove scegliesse di rendere dichiarazioni confessorie precise, questo contributo potrebbe esporlo alla contestazione di fatti nuovi e più gravi, come alla riqualificazione del fatto con eventuali aggravanti. Nel caso di specie, in particolare, potrebbero essergli contestate le circostanze aggravanti della premeditazione, della crudeltà e dei futili motivi. Alla luce dell’attività “persecutoria” posta in essere ai danni di Giulia prima dell’omicidio, la Procura potrebbe contestargli anche il reato di stalking. In questi casi, la pena che rischierebbe sarebbe quella massima dell’ergastolo.
Il fatto che abbia ammesso di aver ucciso Giulia Cecchettin come influenzerà il resto delle indagini?
"Sicuramente, unitamente agli altri elementi raccolti, la confessione potrebbe costituire la “prova evidente della colpevolezza” sulla quale si potrebbe fondare la richiesta da parte del pm di procedere con il giudizio immediato, saltando quindi l’udienza preliminare, rinviandolo direttamente alla Corte di Assise. Un reale contributo alle indagini peraltro potrebbe essere valutato a favore dell’indagato/ imputato nel momento in cui il giudice dovrà valutare anche il comportamento processuale ai fini della determinazione della pena".