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Perché dobbiamo preoccuparci del cambiamento climatico, non della terza guerra mondiale

Il grande paradosso della nostra epoca: preferiamo spendere centinaia di miliardi per armarci e distruggere l’umanità, anziché per combattere il cambiamento del clima, e provare a salvarla.
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Il vero grande paradosso della nostra epoca, quello di cui gli storici scriveranno tra qualche secolo, probabilmente, sta tutto qua. Che nell’epoca in cui la parte ricca dell’umanità poteva far qualcosa per evitare la catastrofe climatica non l’ha fatto, perché sarebbe costato troppo. E contemporaneamente ha investito una quantità enorme per di denaro per riarmarsi fino ai denti, per paura di un conflitto globale che proprio la corsa agli armamenti rende sempre più probabile.

Possiamo raccontarcela come vogliamo, ma questo è quel che sta accadendo davanti ai nostri occhi, nell'anno in cui la temperatura globale ha ufficialmente sfondato il soffitto degli 1,5 gradi di aumento, dal 1850 a oggi. Con Donald Trump che annuncia a più riprese di volere la Groenlandia per sé, perché gli serve.  Con la Cina di Xi Jinping che costruisce enormi navi pontile per un’invasione prossima ventura di Taiwan. Con Ursula von der Leyen che annuncia in pompa magna piani di riarmo per l’Unione Europea. Con la Germania di Friedrich Merz che abbandona la parsimonia degli ultimi vent’anni e annuncia un piano di potenziamento monstre del suo esercito pari a un esborso complessivo di 500 miliardi, a debito. E con la commissaria Ue per la Gestione delle crisi Hadja Lahbib che serafica e sorridente, in un video surreale, ci mostra le "borse della resilienza" per resistere 72 ore in caso di attacco alle infrastrutture critiche.

Il tutto mentre The Donald incenerisce gli Accordi di Parigi  sulla riduzione delle emissioni clima-alteranti e congela i fondi dell'Inflation Reduction Act di Joe Biden, la più grande mobilitazione di denaro contro il cambiamento climatico della Storia americana. O mentre l'Unione Europea dominata culturalmente dalle destre decide che il Green New Deal è "ideologia" da smantellare pezzo per pezzo per salvare l'industria delle automobili a combustione fossile.

Pensateci bene: è un incendio che si autoalimenta, una profezia che si auto-avvera, tessere del domino di un’isteria collettiva che ci porta dritti verso quella madre di tutte le guerre che, a parole, diciamo di voler a ogni costo evitare. Quando invece, molto più prosaicamente, dovremmo occuparci d’altro. Perché le borse per la resilienza potrebbero essere molto utili, invece, se un incendio di proporzioni pari a quello di Los Angeles colpisse le nostre centrali elettriche, o i server in cui sono immagazzinati tutti i nostri dati. O se un alluvione simile a quella che ha colpito recentemente Valencia diventasse la regola, tagliando per giorni o settimane gli assi di comunicazione principali di un pezzo di continente. O se un’estate ancora più calda delle precedenti costringesse gli anziani a barricarsi in casa per evitare di finire stecchiti sull’asfalto.

Qualche dato, per guardare un po' a casa nostra? A novembre scorso c’erano sette regioni italiane a rischio siccità contro le zero di vent’anni prima. Nel solo 2024 in Italia ci sono stati 2313 eventi climatici estremi, e un italiano su trenta vive ormai in aree ad alto rischio alluvionale. Non solo: secondo il Climate Risk Index 2025, che ha fatto un’analisi dei trent’anni tra il 1992 e il 2022, l’Italia è tra i tre Paesi europei più colpiti dalla crisi climatica, con 38mila vittime, di cui 18mila morte a causa di ondate di calore e danni per circa 60 miliardi. Danni, peraltro, aggravati dal tragico bilancio delle ultime devastanti alluvioni in Emilia-Romagna, che non sono calcolate nel computo.

Non vogliamo fare i catastrofisti. Ma porre l’attenzione sui veri rischi che ha di fronte l’umanità, anziché su quelli che si crea da sola pur di non pensarci, è oggi più che mai necessario. Perché davvero stiamo imboccando una strada che è due volte senza ritorno. Quella delle spese militari al posto degli investimenti per cambiare il nostro modello di sviluppo. Quella del tutti contro tutti al posto di quella della cooperazione internazionale. Quella della distruzione al posto di quella della ricostruzione.

Se ci pensassimo tutti un attimo, per davvero, forse inizieremmo a capire quanto stiamo sbagliando tutto, proprio nel momento in cui non dovremmo sbagliarne mezza.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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